Investimenti choc: il rilancio si fa così

Martedì 19 Maggio 2020 di Dario Scannapieco*
Immaginate di dovere partire urgentemente in automobile per raggiungere una località molto distante.
Purtroppo la vostra automobile nel tempo ha accumulato problemi al motore e non può raggiungere la velocità che vi consenta di arrivare in tempo. Avrebbe avuto più senso in precedenza preoccuparsi della meccanica dell’automobile o della disponibilità di carburante sul percorso?
Il dibattito di queste settimane sul ricorso al MES o ad altre fonti europee (la disponibilità di carburante), rischia di deviare l’attenzione da un problema altrettanto se non più importante: la capacità di crescita dell’Italia (la meccanica dell’auto).
I dati parlano chiaro: la crescita annua del Pil italiano dal 1989 non ha superato il 2% se non in due casi: di poco nel 1994-95 e in misura significativa nel 2000. Dal 2000 al 2019 l’Italia ha avuto una crescita media annua dello 0,4%. Il risultato è che mentre in tale periodo il PIL francese è aumentato del 32%, quello tedesco del 30,6%, quello spagnolo del 43,4% e quello medio della Unione Europea (senza l’Italia) del 40,7%, il PIL italiano è cresciuto solo del 7,7%. E con l’anno in corso il valore diventerà negativo.

Ma torniamo al nostro esempio. Perché dobbiamo partire urgentemente e dove dobbiamo arrivare? A fine anno il nostro debito pubblico sarà intorno al 160% del Pil. E’ stato giusto usare risorse pubbliche per mitigare l’impatto della crisi per famiglie e imprese. Però adesso, per conseguire l’obiettivo di un livello di debito più sostenibile, abbiamo solo due leve: contenere il deficit (conseguendo un adeguato surplus primario) e, soprattutto, crescere, cioè avere una meccanica che ci consenta di raggiungere la velocità di cui abbiamo bisogno.
Non abbiamo più la leva delle privatizzazioni che negli anni ’90 e primi 2000 contribuirono ad abbattere il rapporto debito Pil dal 122% circa del 1994 a intorno al 100% nel 2007. Ma negli ultimi anni, tra le tante difficoltà, l’Italia è riuscita a mantenere un surplus primario tra l’1 e il 2%.

Secondo le analisi di Oxford Economics con una crescita del Pil dell’1% all’anno e un surplus primario del 3% potremmo ridurre il rapporto debito/Pil di solo il 3% nel periodo 2021-2025. Con una crescita del 2% ed un avanzo primario del 2% nello stesso periodo tale rapporto calerebbe del 6%. Troppo poco per un paese che oggi sconta sui mercati spread più prossimi a paesi con titoli di debito “high yield” rispetto a quelli “investment grade”. E che ha visto il costo dell’assicurazione contro il rischio di default a 5 anni aumentare di oltre 100 punti base da inizio anno, superando la soglia dei 200.
Contenere le spese correnti è politicamente difficile. Ma sarà inevitabile. In modo accorto, però andrà fatto. Ma quello su cui non si può più perdere un attimo è rimuovere tutti quei vincoli (i lacci e lacciuoli di cui parlava Guido Carli negli anni ‘70) che negli ultimi 30 anni si sono stratificati e che bloccano la nostra crescita al massimo – e oggi ci pare un traguardo lontano - al 2% annuo. In altri termini dobbiamo rimettere a posto con urgenza motore e trasmissione.

Parte essenziale di tutto ciò è il rilancio degli investimenti pubblici: la spesa pubblica per investimenti in percentuale del Pil è passata dal 3,7% del 2009 al 2,2% del 2019, mentre in Europa il livello medio è del 3% (3,5% in Francia). Spesso non è una questione di disponibilità di risorse, ma di capacità di implementazione (ossia di meccanica).
Credo che non sia possibile un percorso incrementale. Occorre una discontinuità per rendere il Paese capace, dopo tanti anni, di conseguire un tasso di crescita significativo. Abbiamo bisogno di riforme ambiziose che rendano lo Stato Italiano più moderno ed efficace. Anche il tabù della immodificabilità della Costituzione va sfatato: non nei valori che essa incorpora, ancora giusti e attuali, ma nell’architettura istituzionale che – come ogni cosa – dopo decenni e in un mondo profondamente diverso rispetto a quello in cui fu concepita, necessita di manutenzione.
Le vicende di questi giorni evidenziano che la suddivisione dei poteri tra Stato Centrale e Regioni ha ampie zone di sovrapposizione ed opacità. Per chi intende investire, l’incertezza e la scarsa chiarezza sui ruoli di chi deve stabilire regole e dare autorizzazioni è un deterrente formidabile. Ne risente la capacità del paese di attrarre investimenti.
Settori come Giustizia, Fisco, Formazione (ricordo che nella fascia tra i 30 e i 34 anni l’Italia è al penultimo posto in Europa per quota di laureati) vanno riformati drasticamente e semplificati. Un’evasione fiscale che produce minori introiti stimati da alcuni in oltre 100 miliardi di euro ogni anno, non ce la possiamo permettere e va combattuta in modo drastico, anche promuovendo, per quanto possibile, una “cashless society”, ovvero una società con un uso limitato dei contanti.

Potrebbe essere una buona idea, mutuando quanto fatto durante la crisi, creare piccoli gruppi di esperti – non solo italiani – per elaborare rapidamente proposte di riforma in questi settori. Un metodo molto utilizzato in Europa.
La macchina amministrativa pubblica, mortificata nei compensi e nella dotazione di risorse, va rafforzata e semplificata nell’architettura e nelle procedure. Perché se c’è una cosa chiara è che solo con un capitale umano e risorse adeguate nell’amministrazione pubblica l’Italia potrà riprendersi.
I percorsi autorizzativi per la realizzazione di investimenti vanno snelliti e resi trasparenti. In un paese che deve massicciamente investire in ammodernamento delle infrastrutture materiali e immateriali e nella messa in sicurezza del territorio dobbiamo imparare dai migliori casi europei per cercare di attrarre su tali opere risorse dai mercati finanziari.

Ci sono paesi in cui un’opera capace di generare ritorni economici e finanziari, riesce finanziarsi sul mercato anche per la fase di costruzione, perché i rischi legati alle incertezze su tempi e costi di realizzazione delle opere sono minimi ed il mercato è pronto a sopportare tali rischi.
Una parola finale sulla politica industriale, qualcosa che stiamo perdendo. Un esempio: la BEI ha finanziato per oltre un miliardo di Euro start-ups e imprese innovative europee che stanno sviluppando cure o vaccini. L’Italia beneficia di questo impegno finanziario in modo limitatissimo (un paio di aziende) e indiretto. Eppure in televisione vediamo scienziati italiani che all’estero sono all’avanguardia. Rafforzare le spese per ricerca e sviluppo e i cluster industriali di eccellenza che ancora abbiamo sono decisioni non più rimandabili.

La sfida del debito e di modernizzazione del Paese che abbiamo di fronte è epocale. Ma abbiamo le capacità per vincerla se partiamo subito elaborando un’Agenda Italia 2025 per rendere più efficiente il paese, con obiettivi ambiziosi e una discontinuità marcata con il passato.
Possiamo raggiungere in tempo la meta se mettiamo velocemente a posto la meccanica dello Stato. A quel punto il tema del carburante non si porrà, perché il mercato potrà credere in una storia di rinnovamento e rilancio. Ma per essere credibili sui mercati occorrono serietà, concretezza lungimiranza e non misure di corto respiro. Come ha detto una volta Vince Lombardi, allenatore di football americano negli anni sessanta, “il successo viene prima del sudore solo nel dizionario”. Prima ce ne faremo una ragione, ci rimboccheremo le maniche e inizieremo a mettere a posto il motore, più elevate saranno le possibilità di vincere questa sfida.

*Vicepresidente Bei
Ultimo aggiornamento: 00:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA