Il patron delle Latterie Vicentine, Mocellin: «Il nostro oro bianco per battere il virus»

Lunedì 20 Aprile 2020 di Edoardo Pittalis
Alessandro Mocellin
«Certo che cambia tutto adesso, anche per un'azienda come la nostra. A incominciare dalla difficoltà di leggere il futuro: ma come si risveglierà l'Italia nel post quarantena? E il mondo delle banche come si comporterà con le aziende? Quanti soldi avranno i consumatori? In questi giorni è stato privilegiato il prodotto del territorio, ma i conti in tasca si faranno dopo e il dopo va vissuto settimana per settimana. Il budget del primo trimestre ha fatto vedere numeri inattesi, ma poi cosa accadrà? Attenzione, qui si passa dalle stelle alle stalle in un attimo».

È un periodo col segno positivo per le aziende alimentari, i consumatori in quarantena hanno fatto scorte, privilegiato i prodotti locali, riscoperto anche il negozio di quartiere. La consegna a domicilio è diventata una seconda attività. Il 2019 è stato un anno buono, questo doveva essere un anno di difesa, ma dopo il 22 febbraio è venuto fuori un mercato totalmente diverso e imprevedibile. Stupisce la velocità con la quale sono uscite e vendute le merci in questo periodo. Certo c'è del buono e del cattivo nel fatto di essere in emergenza coronavirus: si fa fatica a proporre qualcosa di nuovo, esce tutto in fretta, non sappiamo che controparte ci sarà dopo. Però, nessuno può permettersi di speculare sulle difficoltà del Paese che devono ancora essere misurate, dice Alessandro Mocellin, presidente delle Latterie Vicentine.

Mocellin, 45 anni, allevatore di Bassano del Grappa, è da sette anni al vertice di una cooperativa di 400 soci che fattura 80 milioni di euro all'anno. Entrano 112 milioni di latte, escono 500 mila forme di Asiago e 170 mila di Grana Padano. Tre stabilimenti a Bressanvido, Bassano e Trento; sei spacci aziendali. Anche burro, mascarpone, yogurt. E un formaggio particolare, il Castelgrotta affinato in un ex rifugio antiaereo sotterraneo di Schio.
La Latterie Vicentine rifornisce la grande distribuzione, la ristorazione, esporta in 60 Paesi, specie in America e in Svizzera, con l'Agriform, l'azienda veronese della quale è socio di maggioranza e che provvede all'estero con un fatturato di 180 milioni di euro.

Quando è nata la Latterie vicentine?
«Siamo giovani, la cooperativa è stata fondata nel marzo 2001, quando l'Alvi Bassano e la Schio Latte si sono messe assieme. All'epoca si lavoravano 3000 quintali di latte al giorno, allora si conferiva tutto allo stabilimento di Schio che risultava un po' dislocato ed è stato sostituito da quello di Bressanvido. C'erano da accorpare le anime societarie diverse, siamo tutti allevatori e operiamo in territori diversi. Ci siamo trovati subito in piena bagarre con le quote latte: i produttori si ribellavano a una norma che prevedeva il trattenimento della quota maturata al conferimento. Quella è rimasta una materia che ogni tanto salta fuori, ma ha fatto tanto male perché ha diviso. Il nostro percorso non sempre è stata una discesa, ma siamo cresciuti con investimenti ambiziosi, gli ultimi riguardano il nuovo centro di confezionamento. Questa vicenda del coronavirus ha visto richieste importanti anche sotto il profilo del prodotto confezionato e noi ci siamo trovati già quasi pronti e in qualche modo avvantaggiati. Abbiamo continuato a lavorare con tutte le protezioni richieste, abbiamo istituito un comitato di rischio. Una delle più belle soddisfazioni è che ai vari controlli istituzionali abbiamo dimostrato la massima affidabilità e la sicurezza per tutti i nostri collaboratori».

Mocellin è nato allevatore?
«Vengo da una famiglia di allevatori di Bassano, papà Ezio ha continuato il lavoro dei nonni. Siamo cinque fratelli, tutti maschi, da bambino sentivo questa passione per la stalla, per gli animali: quando non sapevano dove cercarmi, mi trovavano sempre nella stalla. Le origini della famiglia sono sul Monte Grappa, durante l'estate andiamo ancora in malga che è proprio nei posti che ricordano le due guerre mondiali, da ragazzini ci divertivamo a cercare le trincee dei fanti della Grande Guerra e dove nella seconda guerra ci sono stati i rastrellamenti dei partigiani. Quei morti appesi nel viale di Bassano li hanno presi lassù Il mio lavoro scorre nelle vene, ho un rapporto speciale con la famiglia e in particolare con papà, abbiamo lavorato assieme anche col rischio di diventare più socio e socio che padre e figlio. Ho fatto un percorso scolastico non così scontato, tanti compagni dopo la terza media sono andati a lavorare. Ho frequentato l'Istituto Professionale di Bassano, restando nell'ambito in cui sono nato. In famiglia sono l'unico che ha fatto il servizio militare, nel corpo degli Alpini, tra Belluno e Bolzano, infine a Bassano. Un periodo che ha dato senso a tante cose».

Un senso perché a quel punto ha deciso cosa voleva fare da grande?
«Proprio così! E' stato allora che mio padre chiese cosa volevo fare da grande, ho risposto che mi sarebbe piaciuto fermarmi in azienda. Era il 1998 e ho incominciato, conoscevo il lavoro, non ero mai mancato un pomeriggio per dare una mano e questo era anche il mio alibi straordinario per la scuola. Mi perdonavano se non andavo bene, era sempre pronta la scusa: Ti ho aiutato. Era giunto il momento per mio papà di farsi affiancare nella conduzione. Chi fa l'allevatore oggi deve saper fare un po' di tutto e fino al 2005 l'azienda è rimasta dove mio padre l'aveva trovata, ma ormai ci eravamo trovati in un contesto quasi cittadino, tanti quartieri si erano estesi, e questo frenava la crescita. Così siamo scesi in pianura, a Pozzoleone: abbiamo quadruplicato gli spazi, oggi abbiamo 230 animali, produciamo quasi un milione e mezzo di litri di latte all'anno, siamo tra i soci più importanti della cooperativa».

Come è questa storia di due bambini con una bambina?
«Sono stato precoce, ho conosciuto mio moglie Elisabetta mentre facevo il servizio militare, lei frequentava l'università e per pagarsi gli studi lavorava in un bar. Nel marzo 2000 è arrivata Arianna: io avevo 24 anni, Elisabetta 20. Il parroco al battesimo ci ha accolto con una battuta: Due bambini con una bambina. È diventata la nostra battuta preferita. Nel 2007 è nata Francesca, il caporale di casa, la piccolina Elisa ha 6 anni ed è la cocca di papà. Sono il padre fortunato di tre figlie. Quando ci siamo ritrovati genitori all'improvviso, ho promesso a mia moglie che mi sarei dato da fare perché lei completasse gli studi. Nel 2004 si è laureata in Scienza dell'Educazione e ha preso una seconda laurea qualche anno dopo per insegnare, oggi è di ruolo, specializzata come maestra di sostegno. Sono fortunato anche come marito. E anche perché ho un lavoro che mi piace e lo faccio con entusiasmo, in sette anni credo di non essere venuto in azienda forse dieci volte. Spero sempre che il momento migliore sia domani, che deve ancora venire».

Non solo lavoro.
«Qualche passione ce l'ho. Una smisurata per la montagna, appena posso ci vado anche solo per stare seduto a guardare l'orizzonte. Poi il calcio. Cerco sempre qualcosa da guardare in televisione, magari una vecchia partita. Ho appena visto Italia-Olanda degli Europei 2000 con Toldo che parava tutto, sapevo ogni cosa, ma l'ho guardata come se la giocassero in quel momento. Se avessi avuto un figlio maschio l'avrei chiamato Gabriel, come Batistuta che era il mio idolo calcistico. E poi c'è anche il rock, sono un rockettaro, amo i Litfiba e Piero Pelù».
 
Ultimo aggiornamento: 11:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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