«E adesso, uno spogliarello»: l'Italia in quarantena riscopre "Colpo grosso", il sexy game anni Novanta

Venerdì 10 Aprile 2020 di Ilaria Ravarino
«E adesso, uno spogliarello»: l'Italia in quarantena riscopre "Colpo grosso", il sexy game anni Novanta

«E adesso, uno spogliarello». Così, ieri notte, l’Italia costretta in casa dall’emergenza sanitaria ha riscoperto uno dei pezzi più storici, controversi, trasversalmente amati e odiati della televisione commerciale: Colpo Grosso di Umberto Smaila, il format più esportato (e imitato) degli anni Ottanta. Per la prima volta in chiaro dal 1993, dopo l’esilio delle repliche sulla piattaforma web di Mediaset, e qualche corsara apparizione su YouTube grazie alla buona volontà dei fan, il sexy game andato in onda dal 1987 al 1992 su Italia 7 ieri è riapparso su Mediaset Extra (canale del digitale terrestre che Mediaset dedica alla storia della propria azienda) per una maratona di quattro ore di puntate, dalle due alle sei di notte, a partire dai primi episodi del programma.

Quelli che alle due lontanissime Italie - la gaudente del 1987 e la reclusa del 2020 - spiegavano esattamente, fin dai primi fotogrammi della sigla iniziale, dove intendessero andare a parare: belle ragazze in pose sexy, a cavalcioni su un sassofono, in topless su lenzuola di seta, nude abbracciate a un peluche (le fantasie erano molto anni Ottanta) con capelli vaporosi, poco trucco, lingerie di pizzo e un’estrema disponibilità a lasciarsi spogliare. E non metaforicamente: un milione di fiche per la maglietta, tre milioni per il reggicalze, più di una decina per far spogliare ai due concorrenti - ieri anche la storica coppia della prima puntata: il dj Beppe e l’accompagnatrice turistica “con una marcia in più” Tiziana - la mascherina, la bandierina, la stella d’Europa, la ragazza cin cin insomma (i nomi delle ragazze cambiavano ogni anno) che al suono di uno stacchetto sexy si liberavano, più o meno sensualmente, dei propri indumenti.

Un tripudio di seni in libertà, di inquadrature ravvicinatissime su cosce e glutei, di allusioni piccanti che oggi leverebbero il fiato a qualsiasi paladino della morale: già mostrare i capezzoli in tv sarebbe impensabile, figuriamoci inventarsi un gioco per cui azzeccando il capezzolo “giusto” (quello coperto dalla stellina) si vincono fiche.

Con cui, appunto, spogliare altre ragazze. E ancora slot machine che raffigurano parti del corpo («I nostri senini, i sederini», cinguettava candido nella notte Umberto Smaila), ragazze «da comprare», «da spogliare», con cui «divertirsi un po’» in attesa del sospirato “colpo grosso”: spogliarle tutte durante 15 lunghi minuti di strip tease senza interruzioni. Roba da condanna per direttissima al tribunale più oltranzista del metoo, nonostante le ragazze - tutte giovanissime e quasi tutte con un lavoro nel campo dell’erotismo (spogliarelliste, sexy, attrici di porno, lap dancer) - affrontassero la prova tv con una consapevolezza sconosciuta alle generazioni di veline “vestite”, ma altrettanto ammiccanti, che le avrebbero seguite. E così ieri su Mediaset, sia pure per qualche ora, è tornata in onda, nel bene e nel male, la tv che eravamo - quella in cui era possibile permettersi di giocare con il desiderio e persino aprire una puntata con un salam aleikum, «un saluto a Gheddafi che si è un po’arrabbiato con noi - spiegava Smaila sornione - ma che ci sta sempre molto simpatico».

Ultimo aggiornamento: 12:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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