Coronavirus, per i negozi la mazzata è già arrivata: «A Pordenone è come una calamità»

Venerdì 10 Aprile 2020 di Lara Zani
Coronavirus, per i negozi la mazzata è già arrivata: «A Pordenone è come una calamità»
L’ultima data che circola è quella del 4 maggio, quando cioè saranno passati – oltre alla Pasqua e alla Pasquetta – anche i ponti primaverili. Potrebbe essere quello – se i dati epidemiologici andranno nella direzione sperata – il giorno della ripartenza, almeno per alcune regioni, e dunque dell’avvio della cosiddetta “fase 2”. Ancora un lunghissimo mese anche per quelle che saranno le prime aziende del terziario pordenonese a riaprire, fra le quali con tutta probabilità non ci saranno bar, ristoranti e locali pubblici.

NUOVE STRATEGIE
Una ripartenza difficile, per la quale il presidente dell’Ascom Alberto Marchiori chiede al Governo risorse, ma che andrà affrontata anche con strategie nuove, a cominciare da quelle dell’e-commerce che più d’uno, in questo periodo ha forzatamente intrapreso. Difficile parlare di tempi: il lockdown si è già protratto ben oltre le aspettative iniziali e ora, dal punto di vista delle imprese, qualunque data appare lontana: «Le aziende non possono aspettare – rileva il presidente provinciale di Ascom-Confcommercio – e ora l’importante è che il Governo dia risorse a questa gente, che ha la merce da pagare, l’affitto da pagare, con tutte le relative implicazioni dal punto di vista giuridico». La stessa “fase 2” comporterà solamente una ripartenza parziale, lasciando fuori in una prima fase alcune fra le attività più colpite dal blocco forzato, come i locali pubblici e l’abbigliamento. «Questa situazione – continua Marchiori – proseguirà almeno fino alla fine dell’anno, sperando che per allora si concluda questa “fase 2”. Nel frattempo, io sono convinto che prima di fine mese non si muoverà niente, e comunque ci sarà una gradualità nelle riaperture».

IL CALENDARIO
Per i negozi, si prevede infatti un calendario di riaperture differenziato, anche sulla base della possibilità di garantire il rispetto delle misure di sicurezza, come si sta facendo ora nei supermercati e negozi di alimentari. L’ultimo scaglione potrebbe essere costituito dai locali pubblici, ma anche in questo caso è possibile che ci siano delle distinzioni: «I bar potrebbero forse riaprire, almeno quelli nei quali è possibile mantenere le distanze di sicurezza, ma per i ristoranti è più difficile. Per non parlare degli alberghi, che devono comunque fare i conti con le limitazioni agli spostamenti». Si tratta ora di capire come aiutare la ripartenza e il primo aiuto è senza dubbio quello economico: «Il Governo – chiede Marchiori – deve pensare a un ristoro per queste imprese, ma non devono essere prestiti, perché i prestiti poi vanno restituiti, e le aziende non sono in condizione di poterlo fare. Quella che ci ha colpito è una calamità che non dipende dalle imprese e che si è abbattuta su un terziario che era già in crisi. Lasciar morire le imprese, secondo me, vuol dire far morire le attività. Occorre fare qualcosa di concreto e di immediato, abbattendo la burocrazia». Al di là degli aiuti di carattere economico, il settore del commercio chiede «strategie, opportunità di lavoro, progetti, la partenza immediata di opere infrastrutturali che muoverebbero da subito qualcosa».

E-COMMERCE
Intanto in questo periodo sono diversi gli imprenditori che hanno usufruito della possibilità delle consegne a domicilio quantomeno per tenere in vita le loro attività. E ora proprio dall’e-commerce potrebbe venire per qualcuno un’opportunità: «Stiamo selezionando un paio di piattaforme per l’e-commerce locale – spiega ancora il presidente di Ascom-Confcommercio –. Da questo punto di vista, il periodo di fermo è servito anche alle nostre imprese per attrezzarsi in questa direzione. Penso che sarà un passaggio dovuto, da parte dei più, quello di digitalizzarsi. Stiamo lavorando per la formazione in questo campo: ne abbiamo fatta e continueremo a farla. Ma questo periodo di “convalescenza” deve servire anche a convincerci a fare la spesa rivolgendosi alle nostre imprese: in queste settimane lo abbiamo fatto perché siamo stati costretti, in futuro bisognerà continuare a farlo per mantenere in vita le città».
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