Il parroco che porta nella chiesa svuotata dal virus le speranze del suo gregge

Domenica 29 Marzo 2020 di Alessia Pilotto
Don Claudio Como
L’iniziale sensazione di inutilità, la riscoperta nella chiesa svuotata dal Coronavirus di una dimensione più profonda, oltre l’attivismo, e di un senso di comunità che supera le distanze fisiche. Le misure anti-coronavirus hanno svuotato le parrocchie e cancellato riti e celebrazioni: cosa fa un pastore senza gregge? Cerca di rompere la barriera dell’isolamento e dare conforto, riempie le sue preghiere con le paure e le speranze delle persone, stimola la riflessione su ciò che questo periodo ci “regala”: il tempo.
SOSPESI NEL TEMPO
«La prima sensazione è stata quella del vuoto. Personalmente, mi sembrava di essere inutile – racconta don Claudio Como, parroco di San Quirino e del Santissimo Redentore a Udine, sacerdote dal 1966 - È una sensazione che credo ora molti provino, ma può diventare un campanello d’allarme, che ci fa scoprire la profondità della nostra vita, oltre quel demone che attacca anche i preti e ci spinge a fare, fare, fare: iniziative, incontri, cose.... Il silenzio fa bene, dalla meditazione nascono le parole giuste. La solitudine di questi giorni fa del bene a me, mi aiuta a ri-centrarmi nel necessario e nell’essenziale. Io vivo da solo, quindi rimetto ordine tra le cose: libri, riviste, foto, lettere, come penso facciano quelli che vivono come me».
VICINO AL GREGGE
Senza dimenticare i parrocchiani: «Un prete senza gregge per me è inconcepibile – dice don Claudio Como - Questo isolamento sociale mi fa scoprire altri modi per restare connesso con le persone. Qualche volta mando una mail, ma mi piace soprattutto la voce: allora telefono alle persone sole. Qui, come dappertutto, abbiamo un 50 per cento di nuclei unifamiliari. Ci sono anziani, single, persone malate o che attraversano momenti difficili. Credo che alle volte basti questa presenza: una parola, il fatto di sentirsi pensati, ricordati, senza fare prediche. Una voce per far sentire meno soli. Ma la cosa più bella è l’inverso, i parrocchiani che mi chiamano per chiedermi come sto: mi ha sorpreso e commosso. Ho capito che la corrente non è interrotta, che nonostante tutto c’è un rapporto di affetto, stima, comunione»
PAROLE SU WEB
Al sito parrocchiale, ha affidato un suo messaggio dal titolo “Antivirus”. «Non resistevo a restare in silenzio, senza pronunciare qualche parola, maturata nel silenzio e nell’isolamento di questi giorni difficili – cita don Claudio Como- Desidero innanzitutto dirvi che la chiesa vuota, è piena di voi, delle vostre preoccupazioni, paure, speranze che ogni giorno presento al Signore. I parrocchiani li porto ogni giorno nella preghiera – racconta il sacerdote - e ogni giorno li sento vicino a me, in un senso di comunione che non è fisica, ma va oltre la distanza: un’unione nella lontananza». Un’unione che non viene mene nemmeno ora che le celebrazioni non si possono fare.
PAROLE SUI BANCHI
«Non mi piacciono gli streaming – spiega don Claudio - il linguaggio televisivo è spettacolo, forse non è quello che si vorrebbe comunicare. Io credo che il digiuno eucaristico faccia bene al corpo e allo spirito: alla fine, spero che scatenerà più appetito. All’ingresso delle due chiese (aperte negli orari consueti, anche se non vengono officiati i riti, ndr) ho lasciato le parole di Dio, del Vangelo e della Bibbia, affinché le persone che vengono a pregare o ad accendere una candela possano trovare la lettura del giorno, da cui prendere ispirazione, coraggio, speranza. Alle volte lascio anche un po’ di musica di sottofondo, Bach, che aiuta a trovare l’atmosfera per comunicare con noi stessi e il Signore. Nel Credo c’è una frase sulla “comunione dei Santi”: ecco, è quel misterioso legame che ci unisce gli uni agli altri, sorpassa ogni distanza, un legame che neppure la morte può vincere: quell’essere nell’amore di Dio e di Gesù non ha confini, è un legame che oltrepassa tutto, anche le disposizioni governative».
UNA LEZIONE PER TUTTI
E anche da questa drammatica esperienza, ci sarebbe da imparare: «Sono pessimista – conclude don Claudio Como - siamo smemorati, dimentichiamo subito. Viviamo l’istante, in superficie e tutto diventa come una serie di immagini che passano veloci, senza riflettere. Ho timore di questa smemoratezza. Dovremmo imparare questo senso comunitario, che siamo tutti responsabili gli uni degli altri. Invece siamo passivi, individualisti e narcisisti».
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