Coronavirus a Viterbo, ricercatore di 39 anni guarito: «La svolta con il farmaco anti-artrite»

Sabato 28 Marzo 2020 di Maria Letizia Riganelli
Luca Cacchiarelli, ricercatore Unitus

«Respiravo. Respiravo da solo». Luca Cacchiarelli, ricercatore in campo economico dell’Università della Tuscia è guarito. Anzi, sopravvissuto al Coronavirus. Ha ancora pochissima voce, il fiato gli manca ma quella parola “respirare” non smette di ripeterla. «E’ stato il momento più bello. Quando mi hanno tolto l’ossigeno e potevo tornare a respirare con i miei polmoni». Da due giorni è stato dimesso dallo Spallanzani ed è tornato a casa a Civitavecchia dalla sua famiglia.

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Luca Cacchiarelli è originario di Sutri, a maggio compirà 39 anni e i primi di marzo si è ammalato. Oggi, che è guarito, vuole raccontare la sua storia per mettere tutti in guardia. «Voglio scongiurarvi - dice - di seguire alla lettera le regole per limitare i contagi perché il Coronavirus colpisce tutti, giovani compresi, ed è davvero dura superarlo indenni». 

I primi sintomi sono arrivati il 4 marzo. «Avevo dolore alle ossa e senso di spossatezza. Dal 6 marzo febbre alta, di cui si è presa cura quella santa donna di mia moglie, ad oggi positiva anche lei ma asintomatica. Mi fanno il tampone - racconta - dopo una settimana e prima che mi diano i risultati il 14 marzo ho la prima crisi respiratoria. E corro al pronto soccorso. All'ora di pranzo del giorno dopo arriva la risposta del tampone: positivo. Dopo cena mi telefonano e mi dicono che mi ricoverano immediatamente allo Spallanzani. La tac conferma una brutta polmonite da Covid 19».

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Luca arriva allo Spallanzani e viene intubato. Le sue condizioni non sono buone. «I primi giorni di cura - racconta ancora il ricercatore - non hanno dato l'esito sperato, ma i medici e gli infermieri hanno continuato a incoraggiarmi. E’ stato forse - dice con un filo di voce - il momento peggiore. Non dimenticherò mai il primario che a ogni visita mi ha incoraggiato, stringendomi la mano e accarezzandomi il braccio e sussurandomi che ce l’avrei fatta. E io ogni volta piangevo». Luca aveva paura di non farcela, nella sua malattia rivedeva gli ultimi giorni di vita di suo padre «mentre io - dice ancora - che continuavo a stringergli la mano e ad accarezzarlo».

Momenti duri e dolorosi. «Per verificare il grado di ossigenazione dei polmoni - racconta - due volte al giorno mi hanno bucano le arterie, e fa davvero male, ma la mia disperazione mi ha spinto pure a sopportare senza fare un fiato (io sono un fifone con gli aghi). Le giornate in quella situazione sono interminabili, lo stato di tensione mi ha portat ad avere crisi di panico».
 



Poi è arrivata la svolta. «Domenica pomeriggio - dice ancora - decidono di somministrarmi sotto cute la terapia sperimentale per l'artrite reumatoide.
E dopo due giorni di cura è entrato il primario in stanza e mi ha detto: “oggi torni a casa“. Poi mi ha tolto l'ossigeno e io respiravo completamente con i miei polmoni. Ho pianto per minuti. Ora la convalescenza per guarirmi completamente sarà lunga ma, ormai sono ritornato a respirare autonomamente ed è bellissimo».

Ultimo aggiornamento: 13:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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