Coronavirus, terapia sperimetale: il sangue di chi è guarito ai malati

Domenica 22 Marzo 2020 di Angela Pederiva
Coronavirus, terapia sperimetale: il sangue di chi è guarito ai malati
Dall'inizio dell'emergenza Coronavirus, in Veneto 298 persone che erano risultate positive sono state dimesse dalle strutture ospedaliere e, in larga parte, considerate tecnicamente guarite. È dal loro sangue che, in parallelo alla sperimentazione di due farmaci, sta per arrivare una speranza per i 1.341 contagiati che sono ancora ricoverati. Si avvia infatti a conclusione la procedura di autorizzazione all'attuazione di una tecnica utilizzata con successo in Cina e suggerita ai medici di Padova dai colleghi arrivati da Wuhan. 

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In sostanza il plasma donato dal soggetto che ha sconfitto il Covid-19, ricco degli anticorpi sviluppati dall'organismo, viene lavorato con una macchina per inertizzare eventuali altri patogeni, dopodiché viene trasfuso al malato che, soprattutto se anziano, ha un sistema immunitario più lento, permettendogli di reagire all'aggressione virale. Giustina De Silvestro, direttore dell'unità Immunotrasfusionale dell'Azienda ospedaliera di Padova, sta completando le ultime osservazioni indirizzate al Comitato etico per la sperimentazione clinica. «Nei primi giorni della prossima settimana spiega verrà formulata la valutazione. A quel punto il documento andrà al Centro nazionale sangue, che potrà eventualmente consultare la Commissione tecnico-scientifica dell'Istituto superiore di sanità oppure emanare direttamente il parere definitivo». Si annunciano comunque stretti i tempi per l'inizio del test, che coinvolgerà tutto il Veneto.
 
«La prima parte del progetto sottolinea De Silvestro sarà implementata nei singoli centri trasfusionali dei dipartimenti, mentre la seconda sarà concentrata a Padova per le attività di approfondimento nel laboratorio microbiologico e di trattamento specifico del plasma raccolto dagli ex pazienti diventati donatori. Per quanto riguarda le trasfusioni, le prime verifiche avverranno a Padova, ma una volta aggiustato, il modello sarà esteso al resto del Veneto». Gli esperti cinesi hanno fornito ai medici veneti le indicazioni di intervento sugli ammalati: «Tre somministrazioni di plasma in tre giorni consecutivi, ripetibili a seconda della risposta. Quanto più è precoce, tanto più il trattamento è efficace, per prevenire l'aggravamento ed evitare l'intubazione o comunque ridurre la permanenza in Terapia Intensiva». 

Nel frattempo procede Tocivid-19, studio sull'efficacia e sulla sicurezza di Tocilizumab nel trattamento di pazienti affetti da polmonite da Covid-19, già illustrato dal co-principal investigator Paolo Ascierto. Secondo l'ultimo aggiornamento dell'Agenzia italiana del farmaco, in Veneto si sono iscritti alla sperimentazione 20 centri con 41 malati (un decimo del totale nazionale, pari a 411), a cui va aggiunto un partecipante in Friuli Venezia Giulia. «Si tratta di un anticorpo monoclonale fa sapere l'Aifa attualmente autorizzato per il trattamento di differenti forme di artrite reumatoide e per il trattamento della sindrome da rilascio di citochine». Testato in 14 ospedali di Wuhan, il farmaco è stato somministrato a 272 contagiati, dopo aver prodotto «incoraggianti benefici clinici e nei parametri di laboratorio in una casistica di 21 pazienti affetti da polmonite severa o critica». In un'intervista al Mattino di Napoli, il presidente Domenico Mantoan ha detto che i risultati della ricerca italiana «sono attesi prima possibile, bisogna fare presto perché l'incidenza nel Nord Italia sta aumentando troppo».
Inoltre l'Azienda ospedaliera di Padova è una delle cinque strutture in Italia dove l'Aifa ha autorizzato due studi clinici sull'utilizzo del farmaco Remdesvir «in soggetti con malattia Covid-19 moderata o severa e anche tramite la fornitura per uso compassionevole in soggetti gravi, ricoverati in Terapia Intensiva». Si tratta di un antivirale, già utilizzato contro Ebola, di cui Gilead Sciences promuove la sperimentazione anche nei confronti del Coronavirus. Per il momento resta invece un'ipotesi la possibilità di alzare la temperatura in Terapia Intensiva oltre i consueti 20-24 gradi, portandola addirittura a 30, per contrastare la diffusione del patogeno. La perplessità è legata al fatto che i sanitari, bardati dalla testa ai piedi, finirebbero in una sauna.
Angela Pederiva
Ultimo aggiornamento: 14:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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