Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Berlinale 70/3 Il vento ecologico di Caputo
Le fritelle non rendono più dolce il West

Domenica 23 Febbraio 2020
Qualcosa si muove, qualcosa migliora. Un po’ alla volta questa Berlinale chatriana prende forma. E arrivano anche film che lasciano ricordi importanti.

FIRST COW di Kelly Reichardt (Concorso) – Nel west dell’Oregon, nell’aspro territorio tra boscaglia e silenzio, un aspirante pasticciere riservato che fatica a convivere con la rozzezza umana che lo circonda e un immigrato cinese, incontratisi casualmente, diventano famosi per il commercio di frittelle, ma la loro attività illecita (rubano il latte, direttamente dalla mucca, di un proprietario terriero) fa scatenare una caccia all’uomo. Reichardt torna al western per la sopravvivenza raccontando la storia di un’amicizia, e forse anche qualcosa di più, eccentrica e destabilizzante in un ambiente greve; ma soprattutto rilegge, non senza qualche accento ironico leggiadro, la forza del nascente capitalismo di annientare qualsiasi attività “libera” e contrastante. Voto: 7.
SEMINA IL VENTO di Danilo Caputo (Panorama)
– Nica torna a Taranto, dove il padre è in difficoltà economiche e gli uliveti di proprietà sono minacciati dall’inquinamento e dai parassiti. La ragazza lotta contro il disastro ecologico, mentre il padre è più disponibile a scendere a compromessi. Caputo firma un dolente canto ecologico, tra lo scontro generazionale e lo stupore che la natura riesce comunque ancora a creare. Se non sempre la recitazione regge (anche se la giovane Yile Yara Vianello dà al personaggio una carica quasi insospettabile nel suo corpo fragile), lo sguardo di Caputo, che usa anche il sonoro come ulteriore narrazione, è evocativo e struggente. Voto: 6,5.
PERSIAN LESSONS di Vadim Perelman (Special)
– Il belga Gilles, catturato dai nazisti, sfugge all’esecuzione sommaria dei prigionieri, dichiarando di essere persiano e non ebreo. Il comandante, che spera un giorno di andare a Teheran e aprire un ristorante, lo prende sotto la sua protezione, affinché il giovane possa insegnargli la lingua. Il giovane è quindi costretto a inventarsela, ma soprattutto a ricordarla, per evitare la morte. Un romanzone popolare che viaggia su una narrazione facile, non priva anche di qualche accento comico, sulla bugia, sul tradimento, ma anche sull’arte di arrangiarsi. La nascita di una lingua inventata vive di stratagemmi, ma la confezione patinata allenta tensioni e drammi. Con un finale beffardo nel dopoguerra. Voto: 5.
PETITE FILLE di Sébastien Lifshitz (Panorama)
– Sasha è un bambino imprigionato nel suo corpo maschile, mentre si sente di esprimersi e vestire in modo femminile. Lifshitz descrive il percorso accidentato della ricerca di sé e dell’accettazione sociale attraverso uno stile documentaristico, trovando una capacità fluida del racconto, con uno sguardo sincero, appassionato, lucido e partecipativo, grazie anche alla disponibilità dei personaggi che raccontano con trasporto la loro vita. Ne esce un piccolo gioiello di un regista da sempre sensibile alle tematiche gender, che qui crea un’empatia straordinaria, asciutta e mai patetica, sconvolgente e commovente, con il dramma esistenziale di un bambino che vuole solo essere come si sente. Voto: 8. Ultimo aggiornamento: 11:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA