Schiavonia, l'ospedale blindato: pazienti e parenti chiusi dentro

Sabato 22 Febbraio 2020 di Nicoletta Canazza
L'ospedale di Schiavonia "blindato"
MONSELICE - L’ospedale di Schiavonia è chiuso. Dalle 17 di ieri tutte le attività con ingresso programmate sono state tassativamente sospese: chirurgia, donazioni, prelievi e così via. Mentre dentro il Santa Madre Teresa di Calcutta si stanno facendo gli esami sui pazienti, medici e paramedici che si sono alternati durante la giornata, fuori, dalle 19, ci sono solo i lampeggianti blu dei carabinieri e pochi parenti in attesa. Impossibile entrare. Il personale di vigilanza lascia passare solo medici e infermieri che devono prendere servizio. Tutto il personale in uscita dal turno pomeridiano è stato già sottoposto a misurazione preventiva della temperatura, tampone e valutazione di eventuali sintomi. Tampone obbligatorio anche per il personale che monta in servizio, per i pazienti e per gli utenti presenti nella struttura. Chi era “dentro” quando è scattata la chiusura d’emergenza, è rimasto bloccato, addetti alle pulizie compresi. Massima attenzione al Pronto soccorso e nei reparti di Medicina, Geriatria, Rianimazione. Quelli dove sono transitati i due anziani infettati dal virus. Le disposizioni d’urgenza della Ulss 6 prevedono anche la predisposizione di registri con cognome, nome e residenza di ogni “tamponato” oltre al telefono e alla decisione presa dal personale medico per ognuno.
LE TESTIMONIANZE
Fuori, però, la situazione è ancora incerta e tra i parenti arrivati per assistere qualche congiunto o per portare il cambio a ricoverati, le facce sono tese e preoccupate. «Non ci dicono niente - commenta una signora la cui figlia è entrata con delle contrazioni - non so nemmeno se posso andare a prendere la borsa che ho lasciato su con lei.
L’ho anche chiamata al telefono e in reparto sono tranquilli. Da due ore aspetto qui fuori e non so niente». «Mio padre è ricoverato - spiega un altro - e mia madre gli sta facendo assistenza. Ora lei non può più uscire. Ero venuto a darle il cambio perché soffre di asma, ma nessuno viene a dirci cosa sta succedendo». Quello che si sa è che Vo’, il focolaio del virus, è un paese blindato. Informazioni che rimbalzano mentre i carabinieri cercano di gestire la preoccupazione di familiari e di impedire uscite “accidentali” dal cordone di sicurezza. Almeno un paio, attorno alle 21, i parenti che hanno cercato di allontanarsi eludendo la sorveglianza. Ora la futuristica hall dell’ospedale è praticamente deserta. Le uniche persone che si vedono muoversi al di là dei vetri indossano mascherine sulla bocca. «Entrano solo i medici», si ripete ogni volta che la porta si apre. Le informazioni disponibili sono limitate e immediatamente rilanciate dai social. Racconta Alessandro, chiuso in Neurologia dove assiste la madre: «Non si può uscire dal reparto. Dalle 19 è tutto bloccato. Ci stanno facendo i tamponi, poi si dovranno attendere tre ore per l’esito. Se dovesse dare esito positivo mi aspettano 14 giorni di isolamento fiduciario a casa». Sotto controllo anche il personale in servizio sull’ambulanza che ha prelevato uno dei due pazienti a Vo’. Chi è smontato dal turno pomeridiano è stato richiamato subito in ospedale. Peggio è andato a chi faceva il turno serale. Intanto, fuori, arrivano altri carabinieri, e arrivano mascherine anche per loro. Arrivano anche delle pizze per chi, dentro, dovrà fare la nottata. I distributori di snack sono stati presi d’assalto e si stanno svuotando gli armadietti del personale per recuperare provviste. «Ci stiamo attivando - dichiara il colonnello Marco Turrini, comandante della Compagnia dei carabinieri di Abano - per il momento non possiamo pronunciarci. Dipenderà tutti dai protocolli che verranno attivati. La situazione è in evoluzione continua ma siamo in contatto diretto con l’unità emergenziale». È sul tavolo anche l’ipotesi di evacuare l’ospedale, con la costruzione di una struttura d’emergenza montata davanti all’ospedale, vigilata dall’esercito. Intanto filtrano delle voci da chi è rimasto bloccato dentro. I volontari di Protezione civile si sarebbero rifiutati di intervenire per l’assenza di tute e mascherine per loro. La carenza di mascherine è già un’emergenza. Non sarebbero sufficienti tanto che sono stati interpellati anche i magazzini di prodotti per l’agricoltura per recuperare quelle usate dagli agricoltori che usano antiparassitari.

 
Ultimo aggiornamento: 08:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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