Il processo a Compiano: «Voragine da 122 milioni di euro»

Venerdì 21 Febbraio 2020 di Giuliano Pavan
Luigi Compiano
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TREVISO - I fedelissimi sapevano degli ammanchi nei caveau della Nes. Lo sapevano ancor prima che entrasse in circolazione l’euro come moneta ufficiale. A testimoniarlo un’informativa risalente al 2001 firmata da Massimo Schiavon, il braccio destro di Luigi Compiano e responsabile delle sale conta (inizialmente indagato, la sua posizione è stata archiviata in quanto non aveva alcuna responsabilità essendo solo un dipendente che ha eseguito degli ordini, ndr). Quasi vent’anni fa il buco ammontava tre miliardi di lire: un miliardo e cento milioni riguardanti banconote usurate, danneggiate, false o mancanti in seguito a furti o rapine, e un miliardo e novecento milioni di lire per “prelievi personali” di Luigi Compiano. Un dettaglio emerso dopo l’apertura del dibattimento nel procedimento penale a carico del patron della Nes, finito a processo per appropriazione indebita aggravata, bancarotta documentale e per aver favorito il dissesto del gruppo, anche se il pm Massimo De Bortoli è convinto che alla fine del processo verrà riconosciuta a Compiano la bancarotta fraudolenta.

I TESTIMONI
Il primo testimone chiamato a conferire con il collegio del tribunale di Treviso è stato Diego Casonato, commissario giudiziale prima e straordinario poi della Nes, che ha ricostruito la situazione che si è trovato davanti al momento dell’insolvenza del gruppo. Al di là delle difficoltà a portare avanti l’attività di vigilanza e di raccolta e trattamento valori prima che venissero sigillati i caveau, 13 in tutto sparsi per l’Italia, Casonato ha portato a conoscenza dei giudici l’attuale stato passivo del gruppo, quantificato in 122 milioni di euro, ha sottolineato come «la gestione massiva del denaro (banconote e monete non venivano divise per cliente ma gestite in un unico blocco, ndr) permetteva una maggiore confusione». In altre parole l’organizzazione dei forzieri della Nes contribuiva a “nascondere” i prelievi di Compiano il quale, secondo l’accusa, utilizzava le sue società come bancomat per comprare auto di lusso e assecondare spese personali tra le più svariate. 

GLI INVESTIGATORI 
Ma è quando hanno testimoniato gli investigatori della guardia di finanza che il quadro si è fatto ancora più chiaro. I plichi di denaro che arrivavano nei caveau della Nes erano sigillati con un codice numerico univoco. Ogni cliente aveva il proprio, e anche Compiano aveva il suo: al patron era riservato il numero 1. In alcuni casi utilizzava anche la dicitura “Nes Treviso”. Nelle sale conta tutto era ripreso dalle telecamere, dunque era di fatto impossibile portare fuori denaro senza essere scoperti. Gli assegni utilizzati in cambio dei prelievi aggiravano tutte le misure di sicurezza. Carta straccia che si trasformava in mazzette di banconote che finivano sulla scrivania di Compiano negli uffici di via Roma, in pieno centro storico a Treviso. In tutto 102 assegni, per un importo di quasi 29 milioni di euro, che sono stati trovati dai finanzieri e messi agli atti come prova per incastrare Compiano. Il nodo da sciogliere riguarderà proprio gli ammanchi: secondo il legale di Compiano, l’avvocato Piero Barolo, il denaro prelevato non sarebbe mai entrato a far parte del patrimonio della Nes. Circostanza per cui il reato di bancarotta fraudolenta non si configurerebbe, l’esatto opposto di quanto vuole invece dimostrare il publico ministero.
 
Ultimo aggiornamento: 08:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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