Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Muccino: più un Ozpetek vivace che Scola
Ma il meglio è dall'Asia: Memorie e Oche

Giovedì 13 Febbraio 2020

La nostalgia delle illusioni, il rimpianto delle scelte fatte, la maturità così distante dalla giovinezza, dalle sue speranze, i tanti errori di una generazione che ha attraversato gli ultimi decenni: l’ultimo Muccino sembra chiudere tutti i suoi discorsi precedenti, affondando i propri cliché in una summa di intrecci amicali e amorosi, con una riflessione sempre costipata di situazioni burrascose, sentimentali, tra inganni e tradimenti, innamoramenti e ferite.
“Gli anni più belli” è ambiziosamente sintonizzato verso “C’eravamo tanti amati”, nello specchiarsi in un racconto corale, dove ognuno sembra perdersi, ritrovarsi e perdersi ancora. Raccontato in un lungo flash back è la storia di tre amici: Giulio (Favino), Paolo (Rossi Stuart) e Riccardo (Santamaria), attorno ai quali ruota Gemma (Ramazzotti), che ne rappresenta il perno centrale, ma anche quello più insicuro e debole, ruotando da un cuore all’altro e sistematicamente incapace di trovare un proprio posto. Il primo cambia radicalmente la visione della vita, passando dalle lotte studentesche alla più confortevole vita da avvocato senza scrupoli (dopo aver fatto assolvere un ministro colpevole); il secondo è un intellettuale sincero e onesto, che finisce col pagare le bizzarrie altrui; il terzo è un aspirante giornalista, che vede distruggersi la propria famiglia, per la sua incapacità di essere pragmatico.
Il mondo ruota attorno a loro: cade il Muro, vengono colpite le Torri Gemelle, avanza Berlusconi, in frammenti epocali che sfiorano per un attimo lo schermo; ma Giulio, Paolo, Riccardo e Gemma sembrano quasi non accorgersene, dentro il loro perenne sbandamento esistenziale. A Muccino basta scatenare l’emozione più facile e immediata e in questo ha indubbiamente del tatto: il film incita al lacrimone (chi non si rivede in qualche personaggio e nei suoi errori?), ma manca un’introspezione profonda, soprattutto in Gemma, che rappresenta ancora una volta uno sguardo sull’universo femminile poco generoso.
Scritto dallo stesso regista con Paolo Costella, il film paga qualche simbolismo eccessivo (il canarino, che poi torna in teatro), qualche richiamo evitabile (la fontana di Trevi), ma ha un cuore pulsante che accende un pathos continuo da romanzone popolare, fervido e melodrammatico, come nella salita rapida delle scale di Gemma, forse la scena migliore. E si accasa nelle canzoni di Baglioni, perché di piccoli, grandi amori (e inganni) è fatta questa storia, senza essere di più.
Un cinema che sfiora come sempre tutto senza toccarlo mai sul serio, inebriante, effervescente fino a sgasarsi facilmente, amaro e dolciastro, come il finale consolatorio, dove tutti si ritrovano in un abbraccio confortevole. Più che l’inarrivabile Scola, al massimo un Ozpetek più vivace. Voto: 5.


UN GRANDE BONG PRIMA DI PARASITE - Nel 1986 in una provincia sudcoreana viene trovato il corpo di una donna, stuprata prima di essere uccisa. Le indagini si susseguono febbrili, con l’arrivo anche di un ispettore da Seul, ma il serial killer continua a colpire e ogni ipotetico colpevole, ostinatamente vessato dagli investigatori, si dimostra innocente. Le indagini si chiudono con un fallimento.
Sull’onda del clamoroso successo attuale di “Parasite”, esce ora in Italia il secondo film di Bong Joon-ho, datato 2003, che mostra come il regista Palma d’oro e Premio Oscar avesse già una maturità sorprendente nel descrivere le contraddizioni del suo Paese, attraverso storie di sopraffazione e crudeltà. “Memorie di un assassino” è un film che getta una luce inquietante sui mezzi usati dalle forze dell’ordine, con la loro ossessione per un colpevole e soprattutto incapaci di accettare la propria disfatta.
Un film implacabile e politico sul lato oscuro della natura umana che si snoda tra una finta commedia (prima parte), poliziesco e thriller, con un finale agghiacciante (la scena davanti alla galleria è pazzesca). Un’occasione straordinaria per entrare definitivamente nel cinema di Bong, per troppo tempo da noi sconosciuto. Voto: 8.


UN NOIR NOTTURNO SUL CAOS - Un uomo in fuga. Braccato. Dalle forze dell’ordine e da una banda di criminali. Ma anche dai suoi stessi amici. Una donna fantasma (la moglie) e una donna che la sostituisce all’inizio del film, in un incontro notturno in un luogo di desolata solitudine, in un primo piano sequenza di malinconico dolore, ravvivato da un ombrello aperto.
In due ore di sangue e pioggia, il regista cinese Yi’nan Diao conferma la sua straordinaria creatività: la messa in scena è stupefacente, il ritmo è forsennato, la trama puntualmente caotica e a tratti inafferrabile. Notturno che più al buio non si può, cromaticamente delirante, figlio di sguardi nobili come Wong Kar-wai, Orson Welles, Antonioni, citazionista senza esibizionismo ma per affetto, capace di rileggere il genere attraverso un pensiero lucido e appassionato (e qui forse già in odor di maniera), ecco un film spiazzante per bellezza, ma che rispetto a “Fuochi d’artificio in pieno giorno”, che aveva vinto, un po’ a sorpresa, l’Orso d’oro a Berlino nel 2014, sembra avere meno carica politica (parlare d’altro attraverso il genere qui sembra un po’ più evanescente, la mappa della Cina attuale più sfumata) e soprattutto l’insieme sembra non trovare una sua completezza globale, esaltando più che altro la capacità straordinaria di sorprendere a ogni sequenza. E di momenti affascinanti il film ne ha indubbiamente parecchi.
Non sempre il racconto fila e aiuta, gli intrecci della sceneggiatura sono labili, si regge il gioco delle parti attraverso la metamorfosi delle ombre, dei personaggi che sembrano modificarsi in scena, come quella scena che si apre con una danza e si conclude con una fulminea e sanguinosa sparatoria. Se si accetta il sacrificio di una storia che si regge più sulle emozioni che sulla credibilità, “Il lago delle oche selvatiche” è un noir estetizzante sul caos, su una quotidianità (quasi sempre notturna) dove vivere e morire è un gioco del caso. In questo non sempre tutto funziona, ma è un film pieno di vita e di amore, di tensione e di rabbia, di fuga e ovviamente di morte. Voto: 7.



  Ultimo aggiornamento: 19:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA