Statali, si riapre la guerra dei buoni pasto. Muro esercenti: «Commissione troppo alte»

Giovedì 6 Febbraio 2020 di Francesco Bisozzi
Statali, si riapre la guerra dei buoni pasto. Muro esercenti: «Commissione troppo alte»

La guerra dei buoni pasto rischia di lasciare a digiuno 1,1 milioni di statali che ogni giorno a pranzo ricorrono ai ticket per mangiare fuori dall’ufficio. Nel complesso, calcola la Federazione italiana pubblici esercizi, la Pubblica amministrazione spende annualmente circa 1,2 miliardi di euro per acquistare i buoni pasto da distribuire ai propri dipendenti. Ma di questi solo 700 milioni finiscono nelle tasche degli esercenti, sempre stando ai dati elaborati dalla Fipe. Colpa di una tassa occulta del 30% generata principalmente dalle commissioni applicate dagli emettitori dei buoni pasto, che per aggiudicarsi le gare bandite da Consip per la fornitura del servizio sostitutivo di mensa alla Pa praticano oggi ribassi anche superiori al 20% per poi rifarsi su bar, ristoranti e supermercati. 

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NUMERI TROPPO DISTANTI. Alle commissioni si sommano anche gli oneri finanziari legati all’uso dei Pos con cui gli esercenti si ritrovano a dover fare i conti. Risultato, un esercizio convenzionato vende prodotti e servizi per un valore di 10 euro ma ne incassa 7. L’Associazione nazionale società emettitrici buoni pasto (Anseb) riconosce che deve essere «rivisto» il sistema di gare al massimo ribasso in modo da premiare la «qualità», ma sottolinea che «il mercato del buono pasto è sano e in crescita» e che l’abbassamento della detrazione fiscale sul buono pasto cartaceo a 4 euro e l’innalzamento del valore defiscalizzato dei buoni pasto elettronici a 8 euro, rappresenta «una misura che riconosce ai lavoratori un incremento di 400 euro non tassati all’anno».

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Ma una soluzione che concili le posizioni è possibile?
«Da quando è entrata in gioco la Pubblica amministrazione il sistema è diventato insostenibile, Consip effettua le gare con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa ma in questo modo i commerciati risultano pesantemente penalizzati dal momento che la legge consente alle società che emettono i ticket di applicare sugli esercenti commissioni pari o superiori allo sconto proposto alla società appaltante per non andare in perdita. Meglio a questo punto adottare il modello francese che non prevede gare: Oltralpe le commissioni a carico degli esercenti sono pari o inferiori al 5%», spiega al Messaggero Luciano Sbraga, vicedirettore di Fipe. Ma la Consip, come più volte precisato in passato, ha ribadito al Messaggero che le gare rispettano le normative previste dal decreto correttivo del Codice appalti che ha introdotto il vincolo che impone l’interdipendenza tra lo sconto offerto alla Pa e la commissione applicata agli esercenti e «che le soluzioni adottate contemperano le esigenze di tutte le parti coinvolte».

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A lanciare l’allarme sono state le associazioni di categoria che rappresentano le imprese della distribuzione e della ristorazione (non solo la Fipe, ma anche Federdistribuzione, Ancc Coop, Ancd Conad, Fida e Confesercenti) secondo cui il sistema dei buoni pasto è al collasso. Dopo aver partecipato a un tavolo di lavoro congiunto hanno inviato ieri al Ministero dello Sviluppo economico e a quello del Lavoro una lettera in cui rimarcano l’urgenza di varare una riforma che assicuri il mantenimento del valore nominale del buono pasto lungo tutta la filiera. Ogni giorno circa 10 milioni di lavoratori pranzano fuori casa e di questi 2,8 milioni sono dotati di buoni pasto e il 64,7% li utilizza come prima forma di pagamento. In totale, ogni giorno i dipendenti pubblici e privati spendono circa 13 milioni di ticket. La Consip tuttavia già utilizza degli strumenti premianti per evitare che le commissioni a carico dei commercianti non siano troppo onerose: in fase di gara gli emettitori di buoni pasto che non applicano commissioni superiori allo sconto proposto per aggiudicarsi la gara ottengono un maggior punteggio. 
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Ultimo aggiornamento: 08:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA