Desirée, il medico legale: «Era ancora una bambina quando è stata violentata»

Martedì 28 Gennaio 2020 di Adelaide Pierucci e Raffaella Troil
Desirée, il medico legale: «Era ancora una bambina quando è stata violentata»
1

Non conosceva l’amore, impacciata e fragile aveva protetto quella parte di sé. Non aveva mai avuto un fidanzato, come tanti adolescenti inseguiva sogni e fuggiva, risucchiata da debolezze più grandi di lei. Quando è inciampata nell’orrore. E ha perso la verginità e la vita. L’aveva detto la nonna, «era poco più di una bambina», come pure i familiari, convinti. Ora la conferma: «Desirée Mariottini era vergine quando è stata violentata», hanno riferito ieri in aula gli esperti chiamati a eseguire l’autopsia sul corpo della 16enne trovata morta in uno stabile abbandonato e occupato in via dei Lucani a San Lorenzo il 18 ottobre 2018.

Desirée, il papà in lacrime al processo: «Ho cercato di salvarla ma non ho potuto fare nulla»
Desirée uccisa a Roma, al via il processo. L'imputato: «Chiedo perdono alla famiglia»

Desirée non era pronta a tutto, in quel covo dove si spacciava droga non era andata per trovare “roba” a tutti i costi, anche vendendo il suo corpo. Era piuttosto una sprovveduta, che si è fidata di persone sbagliate e tutto questo rende ancor più doloroso ripercorrere gli ultimi momenti di vita della giovane di Cisterna, un’adolescente problematica, tanto che la madre le aveva provate tutte perché fosse ricoverata in una comunità. Inafferrabile, come sono i ragazzi, che davvero poco a volte conosciamo davvero, per quante maschere indossano, spavaldi quanto imberbi. Quanta più cura possibile non rende immuni da sconfitte crudeli. Le trecce colorate e l’apparecchio ai denti, le stravaganze, vanificate dallo sguardo dolce e inquieto, nonostante quel filo di rossetto. Ugo di Tondo, docente di Anatomia patologica e Dino Tancredi, medico legale, entrambi della Sapienza, hanno riferito davanti alla Corte d’Assise chiamata a giudicare quattro giovani africani, di un «rapporto sessuale violento» e «lesioni all’imene» tali da evidenziare che la giovane abbia perso la verginità contro la sua volontà, stordita, offesa, lasciata morire in un vecchia stamberga covo di sbandati, nel quartiere San Lorenzo.
 



Durante il processo si è via via delineata una verità atroce, che rende un poco giustizia alla giovane, drogata e stuprata, una violenza di gruppo a cui il suo cuore non ha retto e si è arreso come lei, per overdose. «Quando è stata trovata era morta da quattro, cinque ore, aveva escoriazioni alle braccia». Forse ha lottato, fin quando è crollata stordita. Il papà, Gianluca Zuncheddu, ascoltato ieri ha raccontato così la sua Desirée: «Era una ragazza debole, se avessi potuto riprendermela l’avrei tirata fuori, l’avrei salvata». L’uomo una settimana prima era andato a casa dell’ex moglie, «volevo portarla via, poi ho visto che aveva del vino nella borsa e le ho dato due schiaffi e sono stato arrestato, giacché c’era nei miei confronti un divieto di avvicinamento per stalking». Dopo la morte della figlia è andato a San Lorenzo: «A cercare la verità, ho svolto mie personali indagini. E scoperto che Desirée era stata tradita, “venduta” da due amiche, due ragazze di colore. Mia figlia le aveva cercate perché una di loro si era presa il suo tablet».

«MAI AVUTO UN FIDANZATO»
Desirée era esile e timida e soffriva di una lieve zoppìa, hanno testimoniato in precedenza la mamma, la zia e la nonna materna. «Evitava anche di spogliarsi davanti a noi - ha detto la zia - Non era drogata, no. Io ho undici anni più di Desirée. Eravamo come sorelle. Da piccole ci scambiavamo i giocattoli, da grandi i vestiti. La portavo a vedere le mostre di Monet. Non aveva mai avuto un fidanzato, mai intimità. Me lo avrebbe detto, mi confidava tutto. Era stata bullizzata a scuola. La prendevano in giro per il suo problema al piede, una compagna in particolare». Ma prima della scomparsa aveva salutato la mamma dicendo: «Domani andiamo a fare l’iscrizione a scuola». Voleva lasciare l’Agrario per l’Artistico. Non è più tornata a casa. «Seguivo passo passo Desirée ma a volte lei non era gestibile», ha ricordato in lacrime, la mamma Barbara, nell’aula bunker di Rebibbia di fronte alla Corte di Assise chiamata a giudicare per la morte della figlia, Yussef Salia, Alinno Chima, Mamadou Gara e Brian Minthe, ghanesi e nigeriani, tutti accusati di omicidio volontario, violenza sessuale aggravata e cessione di stupefacenti a minori. «Ho presentato quattro denunce di scomparsa - ha spiegato - ogni volta che tardava avvertivo la polizia, appena tornava le ritiravo. L’ultima volta è stata via due giorni. Non l’abbiamo più riabbracciata». 

«Ma non era una tossicodipendente esageravo nei racconti perché speravo che così attivassero più ricerche e soprattutto che potesse intervenire un giudice che la costringesse ad andare in una comunità per minori problematici. Una volta le ho trovato nello zainetto un piccolo involucro vuoto. Sono andata al Sert e ai Servizi sociali. Chiedevo sempre aiuto. Mi dissero che c’erano tracce di cocaina». Battaglie perse, fughe, bugie. Desirée era solo un’adolescente “drogata” di libertà, un angelo fragile. Precipitata in un giro sbagliato, da cui forse era attratta come accade a quell’età e attirata in una trappola. Drogata e stuprata, in una bettola senza traccia d’amore.
 

Ultimo aggiornamento: 16:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci