PADOVA - I detenuti possono facilmente procurarsi un telefono. Questa era la voce insistente all’interno del carcere Due Palazzi. E di fatto non solo una semplice diceria, visto come la Procura ha aperto negli anni una serie di indagini sul traffico di cellulari nel penitenziario, sfociate in condanne ad agenti e detenuti. E così anche il carcerato romeno Ghita Spataru, convinto del malaffare dilagante al Due Palazzi, un giorno ha avvicinato un agente della polizia penitenziaria. Era il 25 maggio del 2017, quando lo straniero ha chiesto al poliziotto di procurargli, in cambio di denaro, un telefono cellulare con tanto di scheda sim. Ma il romeno ha fatto male i suoi conti. E già perchè è incappato in un agente tutto d’un pezzo, di quelli che credono nel loro lavoro e sono a completo servizio dello Stato. Un poliziotto onesto, che ha subito segnalato ai suoi superiori quanto era accaduto. È così scattata una denuncia contro il carcerato per istigazione alla corruzione e il romeno è finito iscritto nel registro degli indagati per volontà del pubblico ministero Sergio Dini, titolare del fascicolo. E lo straniero, ieri davanti al Gup Domenica Gambardella, ha patteggiato la sua pena a un anno e due mesi. Insomma, invece di rimediare un telefono cellulare, ha rimediato altri quindici mesi di reclusione. Intanto sta proseguendo in aula bunker a Mestre il processo che riguarda il primo filone delle indagini scattate nel luglio del 2014, quando gli uomini della Squadra mobile hanno scoperto il “marcio” all’interno del Due Palazzi. Due boss della malavita rifornivano di soldi gli agenti penitenziari ottenendo in cambio hashish, eroina, ma anche chiavette Usb, computer e telefoni cellulari, con cui poter mantenere senza difficoltà i contatti con le rispettive organizzazioni criminali.
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