Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Clint, l'America e i suoi eroi rinnegati
Jojo e il nazismo: non c'è niente da ridere

Giovedì 16 Gennaio 2020

Chi è Richard Jewell? Quando diventa famoso è poco più che trentenne, è grassoccio, vive con la mamma. È il 1996 e sono in corso le Olimpiadi a Atlanta, in Georgia. Jewell, che sta svolgendo l’attività di guardia di sicurezza, scopre uno zaino dove sono rinchiuse alcune bombe: il suo provvidenziale fiuto porta all’evacuazione della zona, prima dell’esplosione, salvando diverse vite. Acclamato come eroe, nel giro di pochi giorni divenne invece il primo sospettato da parte dell’FBI, messo alla gogna anche da una campagna mediatica. Scagionato a fatica, prima che venisse scoperto il vero attentatore, morì a 44 anni, dopo poco più che un decennio.
A pochi mesi dal suo 90esimo compleanno, Clint Eastwood continua immancabilmente a concentrarsi sulle contraddizioni etiche e morali di una nazione, che si ostina a volere apparire per quello che non è. Identificando, negli ultimi lavori, la figura dell’eroe come icona fondamentale di tale spavalda incoerenza, ne rivela la sua percezione sociale, dal concetto fallace e mutevole. In questo, “Richard Jewell” (titolo del film, oltre al nome del protagonista) si specchia soprattutto con “Sully”, il pilota d’aereo che con una manovra azzardata riuscì a salvare la vita a molti passeggeri e si accompagna comunque alla galleria di personaggi che vanno da “American Sniper” ai ragazzi sul treno delle 15.17, come se glorificazione e ostilità si alternassero sulla faccia della stessa medaglia, in una schizofrenica proiezione della coscienza popolare.
Di fatto Clint affronta sempre il “mondo perfetto” nella sua entità più profonda, assicurando allo Stato un ruolo di Potere assoluto, dove l’individuo finisce per essere stritolato, mentre verità e giustizia funzionano soltanto in astratto. Jewell paga la colpa di essere un po’ tonto, ma non stupido e soprattutto di avere un passato, turbolento e maniacale, che permette a tutti, dall’Fbi alla stampa (assai brutta inizialmente la figura della giornalista a caccia di notizie), di confezionare l’identikit dell’attentatore perfetto, magari mitomane che cerca attenzione.
Se la prima parte introduttiva descrive puntigliosamente l’avvenimento tragico, la seconda affronta le dinamiche perverse di una codifica di colpevolezza, che fortunatamente sfiorisce pian piano: a Clint interessa ovviamente dimostrare come il sospetto sia figlio di una presunzione pericolosa e come le forze che dovrebbero assicurare la verità finiscono per ostacolarla (e non meglio vanno nel chiedere scusa). Niente di nuovo nel suo cinema, ma tutto sempre indispensabile, anche se quest’ultimo film è distante dai suoi capolavori. Ottimo Paul Walter Hauser nella parte dell’eroe-vittima, non meno una madre accorata come Kathy Bates e il solito, spesso sottovalutato, Sam Rockwell, avvocato che si autoriscatta. Voto: 6,5.
 
 
HITLER, AMICO IMMAGINARIO - Non è facile strappare qualche risata con i grandi drammi, specie se di tutta l’umanità. Ci riescono solo i grandi registi. Scherzare con Hitler e il nazismo è un’operazione complicata e certo il neozelandese Taika Waititi è molto distante da Chaplin, che si permise con “Il dittatore” di smontare una figura così tragica con lo sberleffo geniale che gli apparteneva.
Film d’apertura dell’ultimo festival di Torino, “Jojo Rabbit” invece è soltanto la storia di un ragazzino che durante il nazismo ha Hitler come amico immaginario. Vorrebbe essere un nazista perfetto, si prodiga in tutti i modi per sembrarlo, specie nell’addestramento al quale si sottopone quasi felicemente, ma in fondo è buono e timido (il coniglio del titolo) e così lo prendono in giro. Un giorno scopre casualmente che la madre (Scarlett Johannson) nasconde a casa una ragazzina ebrea. I due giovani entrano inevitabilmente in contatto: per il ragazzino è la scoperta di un mondo completamente ignorato. E in poco tempo la sua coscienza nazi vacilla.
Una commedia che stempera il Male in una ilarità forzata (lo stesso regista veste i panni di Hitler), ma che non riesce ad andare oltre a figurine come il capitano dal buon cuore (il pur bravo Sam Rockwel), per far capire che in fondo forse in mezzo a tanti cattivi, qualcuno che si salva c’è sempre. Narrativamente incerto (anche lo scopo “didattico” se vogliamo è piuttosto esile), eticamente discutibile, specie oggi con il minaccioso ritorno dell’estrema destra, “JoJo rabbit” resta un’operazione di dubbia necessità e anche quando il gioco si fa più serio, perché la risata ha comunque il fiato corto, mostra tutti i suoi limiti, con spunti (tragici) che mal si combinano.
Premiato a Toronto e incredibilmente lanciato nella corsa agli Oscar, è un film alquanto ruffiano, che si fa però volentieri dimenticare presto, nonostante qualche buon momento, come la lunga scena dell’irruzione in casa della Gestapo, dove la tensione sale, ma è evidente che si tratta di un ricalco modesto della scena iniziale di “Bastardi senza gloria” di Tarantino. Voto: 5.

THE LODGE: L'HORROR IN FAMIGLIA - Persa per suicidio la madre incapace di accettare il divorzio, due ragazzini, fratello e sorella, sono obbligati dal padre a trascorrere le vacanze di Natale, in una casa isolata tra i monti innevati, con la nuova compagna, unica superstite anni prima di un suicidio di massa, per motivi religiosi. Un thriller quasi horror, girato dai registi di “Goodnight Mommy”, che si perde nel labirinto conflittuale, degenerando su piani narrativi difficile da controllare. L’atmosfera, l’elaborazione del lutto e i traumi infantili, le case di bambola che rispecchiano la trama sono interessanti, ma si perdono nella mancata scansione psicologica tra i personaggi. Voto: 5,5. Ultimo aggiornamento: 17-01-2020 08:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA