Veneto Banca, gli ex dipendenti si difendono: «Non siamo stati complici di Consoli»

Sabato 11 Gennaio 2020 di Denis Barea
La protesta dei risparmiatori
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TREVISO - «Non siamo stati i complici di Consoli». Massimiliano Paglini, oggi segretario amministrativo della Cisl Belluno Treviso e al tempo dei fatti segretario generale dei bancari della First e segretario del sindacato bancari all’interno di Veneto Banca, erige una diga in difesa dei dipendenti di Veneto Banca che, secondo quanto si legge negli atti di chiusura indagine del troncone di inchiesta relativo alle truffe che sarebbero state perpetrate ai danni dei risparmiatori, “collocarono attraverso artifici e raggiri”.

«Se qualcuno ha usato tecniche di vendita troppo aggressive - spiega Paglini - ha sbagliato. Ma il problema che si pone rispetto al comportamento dei dipendenti ha a che fare con l’etica sociale dell’impresa. Se questa non c’è, quando vengono messe in campo forti pressioni perché le politiche commerciali vengano sviluppate in un certo modo succede che i lavoratori non abbiano altra scelta che conformarsi. Ma nessuno di noi, in Veneto Banca, sapeva o aveva la minima idea di quello che stava per succedere».
LA CONVINZIONE
Fu così che, convinti che piazzare titoli avrebbe risolto i problemi di patrimonializzazione, nelle filiali spinsero tutti sull’acceleratore per far andare a buon fine il collocamento. «Si credeva così tanto nella bontà di quello che ci veniva detto da Consoli - insiste Paglini - che moltissimi dipendenti hanno continuato ad acquistare azioni fino al 2015. C’è chi ha perso tutto e ha fatto perdere soldi anche alla famiglia. Conosco ex colleghi che, a causa di quello che è successo, hanno persino divorziato. Non siamo complici ma vittime, la tragedia ha colpito anche noi». Per i pubblici ministeri De Bortoli e Cama, i magistrati che compongono il mini pool che si occupa di Veneto Banca, i dipendenti non sono coinvolti nella truffa delle azioni gonfiate perché i vertici prospettarono loro una situazione diversa dalla realtà, raccontando che il valore dei titoli era congruo e validato dalla Banca d’Italia. «Manca quindi - spiega De Bortoli - l’elemento soggettivo della truffa». 
L’ACCUSA
«Hanno fregato anche gli organismi di controllo - attacca l’ex segretario Cisl dei bancari - figuriamoci cosa è successo con i lavoratori. Ma è vero che in alcuni casi il collocamento è avvenuto con tecniche di vendita non corrette. È sicuramente un problema, di regole innanzitutto e anche di controllo. Del resto tutta la vicenda di Veneto Banca insegna che i controlli non sono stati adeguati: non parlo solo degli organismi di vigilanza ma anche di quello che avrebbe dovuto fare la società di revisione, che ha avvallato di fatto i trucchetti di bilancio di Consoli e del management. Certo dobbiamo porci un problema di etica del lavoro nel comparto delle banca e dei servizi finanziari ma non lo dobbiamo fare con moralismo semmai con grande realismo. Serve più formazione e soprattutto più capacità di intervento quando si sviluppano dinamiche che non rispettano i diritti della clientela. Ma nessuno può far passare i dipendenti di Veneto Banca come gli esecutori materiali dei piani di Consoli. Noi siamo stati vittime, non carnefici». 
I RISPARMIATORI
Sul fronte dei risparmiatori interviene Andrea Arman, anima del comitato Don Torta. «I dipendenti - attacca - per utilità personale, legata agli incentivi in busta paga sul raggiungimento dei budget di vendita e le promesse di avanzamento di carriera, si sono voltati dall’altra parte rispetto alla necessità di mantenere un profilo di moralità nel lavoro di vendita degli strumenti finanziari. Questo mi fa dire che siamo ai limiti della truffa. Del resto non lo diciamo noi ma la Procura stessa: la vendita è avvenuta attraverso raggiri, a cominciare dall’essersi approfittati di persone con poca cultura o anziane, gente influenzabile a cui è stato venduto qualcosa che non serviva e che non era per loro. Altrimenti perché avrebbero dovuto taroccare i profili di rischio?. Per comprendere le scelte della Procura bisognerebbe leggere tutte le carte dell’inchiesta - sottolinea Arman - se dicono che nel comportamento dei dipendenti non ci sono gli estremi della truffa io mi adeguo. Ma non posso non sottolineare che il modus operandi è stato molto scorretto. E questo deve farci riflettere perché qualcuna di quelle pratiche continua ad essere messa in atto anche oggi in istituti di credito che non sono ad un passo dal collasso, anzi». 
LA CRITICA
Per il Matteo Moschini del Movimento Difesa del Cittadino bisogna invece mettere in evidenza la «grave responsabilità attribuibile ai revisori della PricewaterhouseCoopers su cui sappiamo essere aperto un fascicolo d’indagine. Era la società che ha rivisto e approvato i bilanci di Veneto Banca nell’ultimo decennio ma che non ha scovato perdite superiori ai due miliardi di euro, che sono passate inosservate. Per giunta le relazioni di certificazione hanno influito in modo diretto sulle intenzioni d’acquisto dei risparmiatori. La Pricewaterhousecoopers inoltre non si limitava a certificare i bilanci, bensì forniva una consulenza “day by day” alla Banca così da supervisionare la quasi totalità delle operazioni rilevanti. L’attenta lettura dei bilanci consente di appurare che la società di revisione ha compiuto attività di verifica su analisi crediti, assistenza e supporto nella predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili e nella finalizzazione del modello di controllo interno».
Ultimo aggiornamento: 09:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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