Quando l’ho conosciuto - correva l’anno 1965 - non potevo pensare che sarebbe diventato nel giro di pochi mesi la nuova star della grande moda francese, né lui poteva immaginare che la giovane signora del Consiglio Internazionale di Musica dell’UNESCO - con la quale aveva trascorso con altri amici una serata parigina molto piacevole fatta di commenti e scambi di conoscenze musicali - nel giro di un anno sarebbe diventata una new entry del giornalismo di moda internazionale. Sto parlando di Emanuel Ungaro - del quale è giunta la notizia della morte nei giorni scorsi - conosciuto nel corso di una serata del tutto casuale con amici musicofili che mi avevano presentato questo piacevolissimo “quasi italiano”, noto per il suo amore e le sue conoscenze in campo musicale , colto, raffinato, che… “nella vita faceva il sarto”. Seduti intorno a un tavolo del Caffè Flore che godeva ancora dell’eco mondano- letteraria delle frequentazioni del dopoguerra, io gli venni presentata come la segretaria di quel Consiglio Internazionale di Musica che in quel momento aveva tante connessioni con il Festival di Musica della Biennale di Venezia dalla cui fucina io provenivo. Serata intensa, piena di spunti culturali che denunciavano anche una situazione che a Parigi cominciava già a far presagire quello che dopo qualche anno sarebbe sfociato nel maggio sessantottino. Monsieur Ungaro era un bellissimo uomo, dai tratti vigorosi che raccontavano senza bisogno di molte spiegazioni le sue origini pugliesi (il padre sarto era fuggito da Francavilla Fontana per rifugiarsi in Francia a causa anche delle crescenti persecuzioni fasciste). Un fisico dai segni forti, i capelli tosti, neri, una bellezza virile che racccontava un interesse per le donne che raccontava una educazione elegante, discreta (una disposizione che in avvenire nel panorama delle presenze maschili della moda, lo rese un caso quasi unico) . Mi venne presentato come un appassionato di musica. Parlammo molto, io un po’ incantata da quella dimensione del Sud che trasforma gli uomini in semidei, con l’apertura di braccia più estesa , pronti al volo, tutti Modugno in pectore che sanno volare senza mai staccare i piedi da terra dove però poggiano solidi e sicuri. Lui ammaliato dalle mie “foto raccontate” di Venezia, da evocazioni che gli fecero esclamare a un certo punto: “ma perché non facciamo insieme un ristorante a Venezia? Dovrebbe essere in periferia,piccolo, con un interno tutto francese, piccoli divani e poltroncine di velluto azzurro, un bleu e brique, come binomio cromatico da utilizzare “. (Il mio guaio fu che io quel ristorante in bleu e mattone lo feci davvero - L’Arcimboldo -senza che Ungaro, dimentico di quella nostra serata lontana, venisse mai a conoscerlo!) . IL suo interesse per la moda, quella sera, mi si rivelò per caso quando cominciò a discettare sui colori con una partecipazione che andava oltre la semplice curiosità. Io da anni stavo raccogliendo materiale per realizzare quella storia dei colori che poi , nel Duemila, Marsilio editò: inevitabile quindi il mio interesse per quella quasi lezione sul colore che Ungaro tenne per noi anticipando la sua visione della moda e dell’eleganza femminile , nonché la notizia che -dopo anni trascorsi nei grandi atelier, ultimo quello di Cristobal Balenciaga ( “la più grande firma di moda dalla metà del secolo scorso a oggi!) - avrebbe aperto a Parigi , in Avenue Montaigne, un suo atelier per lanciare il marchio nascente “Emanuel Ungaro”. Ci salutammo passeggiando vicino all’Hotel dove con gli amici mi riaccompagnò, facendoci sostare in quella piazzetta de Furstenberg che ci presentò come uno dei luoghi più fascinosi della sua Parigi. “Io sono italiano di famiglia, pugliese di razza, ma francese di nascita, di educazione, di formazione culturale, di gusti“. Delle peripezie della griffe, dagli altari alla polvere con la cessione a terzi negli anni Novanta, dopo trentacinque anni di gloria e successi, venne colpevolizzato anche un suo certo disinteresse dovuto al distacco dalla gloria ormai acquisita per inseguire - abbandonando il mondo della moda - l’amore totale che lo legò a Laura Bernabei ( dalla quale ebbe anche la figlia Cosima, chiamata così per amore di Wagner ma anche perché Cosimo era il nome del suo padre pugliese). Non stupisce che , ottantacinquenne, malato in forma terminale, abbia voluto tornare nella “sua” Parigi dove chiudere gli occhi il 22 dicembre scorso, accompagnato da molto amore . Del suo mondo di eleganza, che seguii passo passo negli anni della mia attività intensa di giornalista di moda, ricordo quel tocco intellettuale, colto, raffinatissimo, quel suo gioco di colori inedito e intelligente: a parte i suoi costi proibitivi, avrei scelto per me solo abiti di Emanuel Ungaro.
Ultimo aggiornamento: 13:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA
MODI E MODA di
Luciana Boccardi