Terremoti, ci sarà la grande scossa? La risposta del presidente dell’Ingv

Lunedì 9 Dicembre 2019 di Francesco Malfetano
Terremoti, ci sarà la grande scossa? La risposta del presidente dell Ingv
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«Le scosse di terremoto di sabato sera sono legate a quelle de L’Aquila del 2009. Sono la dimostrazione che il volume crostale deve ancora trovare un proprio equilibrio in quell’area e che c’è dell’energia da liberare ma non sappiamo se, dove o quando lo farà». A spiegarlo è Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che monitora l’attività sismica lungo tutta la Penisola. I due episodi sismici che hanno fatto ripiombare nel terrore i cittadini abruzzesi attorno all’epicentro di Barete, a 17 km da L’Aquila, «sono normali in quell’area». «Tutto l’Appennino - continua - è una catena fortemente sismica», ma anche Roma «è circondata da un’area attiva» e ha «una sismicità naturale».

Ci prepariamo a un sisma forte?
«Sappiamo che le due scosse da 3.7 e 3.4 di sabato, a venti minuti di distanza l’una dall’altra, sono in un’area geografica che lega la sequenza a quella de L’Aquila del 2009 e a quella di Composto del 2017 - spiega il presidente dell’Ingv - c’è dell’energia da liberare ma non è possibile stabilire se, dove o quando accadrà. Scosse di questo tipo sono normali - continua - in quell’area ci sono più o meno ogni mese perché tutto l’Appennino, soprattutto nella parte più elevata, è una catena fortemente sismica e quindi ad alta pericolosità». Monitorare costantemente e fare prevenzione in maniera accurata è l’unico modo per farsi trovare pronti. 

C’è un legame con l’Albania?
Non esiste un collegamento diretto con le scosse che hanno devastato Durazzo e altre città albanesi facendo oltre 50 morti. «Questi terremoti sono forme di rilascio di energia cumulata in loco» dice Carlo Doglioni, a capo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che monitora l’attività sismica italiana. Peraltro «non ci sono connessioni in termini di faglie tra quella regione dell’Albania e il centro dell’Italia». Inoltre l’Abruzzo è soggetto da sempre a questo genere di episodi sismici, «da ben prima di quelli che si sono verificati qualche settimana fa nel Paese balcanico» specifica il geologo. Nella storia infatti, i terremoti spesso si verificano proprio nei punti in cui sono già stati causa di distruzione. 

L’epicentro può essere a Roma?
Roma è quasi circondata da un’area particolarmente attiva ad est e a sud-est. In pratica attorno alla Capitale c’è una sismicità naturale che è nota da tempo, al punto che qualche anno fa c’è stato un terremoto con epicentro nella zona di Castel Sant’Angelo. «Però per quanto ne sappiamo - spiega il presidente dell’INGV - i volumi determinati dalla lunghezza della faglia che si sviluppa in quell’area, possono liberare solo magnitudo piuttosto basse». Per cui ci potrebbero essere delle scosse con episodi dalla forza non troppo elevata. Tuttavia bisogna essere consapevoli che la natura spesso fa delle sorprese: «Ad esempio sappiamo che ci sono stati forti terremoti che hanno lesionato fortemente il Colosseo, come nel 443 d.C».

L’Italia rischia il “Big One”?
Il termine “Big One” è utilizzato dalla stampa americana per indicare un possibile futuro terremoto che colpirebbe la California devastandola con l’energia accumulata lungo la faglia di San’Andrea. «In realtà ogni sisma ha delle caratteristiche tettoniche e una magnitudo da sviluppare: in California ad esempio, non può esserci un terremoto forte come nel 1960 in Cile con una magnitudo da 9,5». A spiegarlo è Carlo Doglioni, presidente dell’INGV. «Così come in Italia non può esserci una scossa superiore a 7,5». Tuttavia ci sono aree più esposte di altre e basta guardare alla storia: uno dei terremoti più forti di cui si è a conoscenza c’è stato nel ‘600 in Sicilia, nell’area di Noto. «In quell’area è probabile che le scosse torneranno ma è impossibile capire quando e come» conclude l’esperto. 
 

Ultimo aggiornamento: 07:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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