Farmacisti in fuga, rifiutati nove posti. Nessuno vuole aprire un'attività in montagna

Domenica 8 Dicembre 2019 di Marco Agrusti
Farmacisti in fuga, rifiutati nove posti. Nessuno vuole aprire un'attività in montagna
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PORDENONE Tempi andati, quando avere una farmacia in paese era come aver vinto al superenalotto. Una fortuna, la sistemazione definitiva. Oggi il mondo si è rovesciato, e un documento scarno emesso dalla Regione fornisce un quadro sconfortante per la provincia di Pordenone, dove a perderci è prima di tutto il cittadino.  La nota ufficiale è del 22 novembre e riguarda il quarto interpello legato al bando per l'apertura di nuove farmacie. Quelle previste per il Friuli Occidentale erano nove e il risultato non ammette repliche: nessun farmacista ha accettato di aprire un'attività. Zero preferenze su nove, e nella fascia montana della provincia si registra la concentrazione più alta di rifiuti. Degli spazi messi in palio dalla Regione, infatti, otto si trovavano nelle valli del Pordenonese: Andreis, Barcis, Castelnovo del Friuli, Cavasso Nuovo, Cimolais, Frisanco ed Erto e Casso. Solo a Fontanafredda si è registrato un caso di mancata preferenza in pianura. Ma il dato è generale, perché allo stato attuale nessuno ha dimostrato interesse per l'apertura di un'attività di farmacista in provincia. Otto comuni restano quindi scoperti e senza un servizio farmaceutico pubblico di vicinato, con i residenti costretti affidarsi ai dispensari oppure a farmacisti che devono viaggiare per decine di chilometri per consegnare i medicinali alle persone più a rischio, cioè a malati e anziani. 
L'ANALISILa Regione offre farmacie e i farmacisti le rifiutano. Archiviato il dato, bisogna andare alla ricerca delle cause. E in questo senso viene in aiuto l'analisi del vertice di Federfarma Pordenone, Francesco Innocente. Si parte da un numero, il 3 per cento. «È quanto rende oggi una farmacia», spiega. Il margine è sottilissimo, quasi effimero. «Logico pensare, quindi, che in montagna, dove i paesi contano poche centinaia di abitanti, un margine del genere rischia di essere annullato dal restringimento della base dell'utenza». Praticamente chi apre una farmacia nella fascia montana pordenonese, rischia di farlo in perdita. «Ma bisogna fare un altro passo in avanti - prosegue Innocente -: in dieci anni il valore medio dei farmaci si è dimezzato, mentre i costi sono aumentati. A crollare è stata la componente legata al sistema sanitario nazionale, cioè ai farmaci pagati dallo Stato alle farmacie, quelli con la classica ricetta rossa. L'entrata dei medicinali equivalenti ha fatto crollare il guadagno. Le farmacie hanno sviluppato il loro lato commerciale, dedicandosi alla vendita di altri prodotti, ma i conti non tornano. A fronte del valore del farmaco dimezzato, i costi sono aumentati. Oggi ci troviamo a dover sostenere spese per troppi adeguamenti normativi: si va dai nuovi registratori di cassa ai software di gestione, sino ai corsi obbligatori e all'adeguamento periodico delle strutture. Il risultato - è l'amara considerazione di Innocente - è l'impossibilità di pagare non solo lo stipendio ai dipendenti ma anche quello del titolare». A ciò si deve aggiungere un numero di partenza: «Una nuova farmacia dev'essere arredata e allestita: i costi superano quasi sempre i 15mila euro, una cifra che con i margini quasi nulli di oggi solo pochi farmacisti si sentono di poter affrontare». E i cittadini dei piccoli comuni restano senza farmacia. 
Marco Agrusti
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