L'ex esattore della mafia confessa: «Così chiedevo il pizzo alle ditte»

Martedì 19 Novembre 2019 di Gianluca Amadori
Veneto. L'ex esattore della mafia confessa: «Così chiedevo il pizzo alle ditte»
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Anche Marcon nella morsa delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. È l’inquietante spaccato che emerge dalle confessioni rese dal siciliano Emanuele Merenda, 40 anni, ex esattore della mafia, diventato collaboratore di giustizia e ascoltato dalla Procura di Venezia nell’ambito dell’inchiesta sulle infiltrazioni della camorra in Veneto orientale. Nel corso di un paio di interrogatori sostenuti mentre si trovava nel carcere di Bologna, nell’aprile del 2014, Merenda ha raccontato al sostituto procuratore Roberto Terzo di aver collaborato per alcuni anni in una serie di attività estorsive con il boss della droga Attilio Vittorio Violi, emissario in provincia del gruppo Morabito, importante famiglia che fa parte dell’ndrangheta calabrese. Violi attualmente si trova in carcere e la Procura di Venezia lo accusa di aver gestito un consistente traffico di stupefacenti, facente base proprio a Marcon.
 
LA PERCENTUALE
Merenda ha riferito di essere stato introdotto a Violi tramite un suo paesano, Giovanni Favara, e di aver iniziato ad occuparsi di affari illeciti a partire dal 2012 «partecipando con lui ad estorsioni e traffici di droga, e questo perché ho accettato la sua offerta di lavorare con lui, così da guadagnare del denaro e elevare il mio tenore di vita». Fino al 2012 Merenda era sotto programma di protezione a seguito della collaborazione avviata con la giustizia, ma ovviamente nascose la circostanza al boss dell’ndrangheta, decidendo di rimettersi a delinquere. «Il mio ruolo nelle estorsioni era di accompagnare Pietro Ferraro, il braccio destro di Vittorio, che eseguiva materialmente l’estorsione, oppure andavo da solo a riscuotere le somme che già altri avevano preteso, in cambio di una percentuale di 500/1000/2000 euro per ogni riscossione».

VITTIME ECCELLENTI
Nell’elenco fornito dal mafioso c’è di tutto: albergatori, negozianti di elettrodomestici, di mobili e illuminazione, titolari di pizzerie, autofficine, agenzie immobiliari, gioiellerie, trattorie, imprese di costruzioni e perfino società di recapito pacchi e corrispondenza. Il “pizzo” variava da 3mila a 10 mila euro al mese (chiesti ad un centro commerciale). Dal responsabile di una ditta di costruzioni, impegnata nella realizzazione di un progetto in via Altinia, Violi avrebbe incassato ben 47mila euro in contanti. «Il denaro era versato a titolo di protezione contro i danneggiamenti e contro i reati commessi da qualsiasi malvivente - ha spiegato Merenda - Se uno pagava il pizzo a Vittorio era garantito per qualsiasi problema nella sua attività: nessun malvivente italiano o extracomunitario avrebbe toccato quelle zone e soprattutto gli imprenditori che lui proteggeva».

CONTROLLO DEL TERRITORIO
Esattamente quello che accade nelle zone a più elevato tasso di controllo mafioso: peccato che ci troviamo in provincia di Venezia, un‘area dove lo Stato ancora riesce ad imporre la legge. Ciò nonostante, decine di esercenti e imprenditori, anche di livello medio-alto, avrebbero accettato di pagare per anni, senza battere ciglio.
Merenda racconta di aver proseguito nell’attività di riscossione del “pizzo” fino al marzo del 2014, quando fu arrestato per scontare una sentenza per associazione per delinquere di stampo mafioso nel frattempo diventata definitiva.

Tra gli episodi riferiti al pm Terzo, ce n’è anche uno relativo a un meccanico che si era rifiutato di versare i 5mila euro richiesti e più volte sollecitati: «Vittorio è andato su tutte le furie (in mia presenza), eravamo al bar di Davide, in centro a Marcon e ha detto: “domani mattina guardatevi il giornale”. Effettivamente la notte stessa l’officina è stata ripulita di tutto dai ladri; credo che fossero albanesi».

Merenda ha spiegato che «il nome di Vittorio a Marcon desta gande timore», aggiungendo che il boss controllava anche la zona di Quarto d’Altino. «Tutti i soldi che derivano dalle estorsioni e dalla droga, pagati i collaboratori come me, vengono trattenuti da Vittorio e inviati ai Morabito», ha precisato il siciliano.
In contemporanea con la collaborazione con Violi, Merenda ha raccontato di aver lavorato anche per Luciano Donadio, il boss di Eraclea, legato al clan dei casalesi, che gli fu presentato dal palermitano Vincenzo Centineo. Anche per Donadio si occupò di estorsioni a imprenditori e negozianti, sulle quali ha fornito numerosi particolari agli investigatori, garantendo importanti riscontri ad episodi già emersi nell’inchiesta sulla camorra nel Veneto orientale, per la quale si avvicina l’ora del processo.

Gianluca Amadori
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Ultimo aggiornamento: 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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