Abusi sul baby calciatore: allenatore
condannato a 7 anni di carcere

Sabato 9 Novembre 2019 di Cristina Antonutti
Abusi sul baby calciatore: allenatore condannato a 7 anni di carcere
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PORDENONE - Il baby calciatore che accusò l'allenatore di averlo costretto a subire atti sessuali ha raccontato la verità. Così ha stabilito il Tribunale, che ieri ha inflitto a 7 anni di reclusione a un 69enne del Pordenonese per violenza sessuale continuata aggravata dal fatto che la vittima non aveva ancora compiuto 14 anni. Sette anni, tanti ne aveva chiesti anche il pm Andrea Del Missier, che nella sua requisitoria ha valorizzato la spontaneità e la coerenza del ragazzino. Il collegio presieduto da Iuri De Biasi, affiancato dai giudici Giorgio Cozzarini e Milena Granata, ha applicato all'imputato tutte le interdizioni previste dalla normativa e liquidato alla parte civile, genitori e vittima costituiti con l'avvocato Alessandra Marchi, provvisionali pari a 30mila euro per il ragazzo e 10mila euro ciascuno per madre e padre. L'imputato dovrà anche pagare le spese di costituzione (6.192 euro). «Ho creduto sin dall'incidente probatorio - ha commentato la parte civile - che il ragazzo stava dicendo la verità. Le testimonianze degli ex calciatori allenati dall'imputato, oggi 50enni, hanno avvalorato le modalità di approccio dell'allenatore riportate anche dalla vittima».
I fatti risalgono tra il novembre 2014 e l'aprile 2015. Sarebbe successo negli spogliatoi, ma anche nell'abitazione del mister, dove il ragazzino andava a trovarlo per dargli una mano nei lavori di casa. Le dichiarazioni del minore erano state ritenute attendibili dai consulenti della Procura e fecero scattare un provvedimento di custodia cautelare agli arresti domiciliari, poi annullato dal Tribunale del Riesame di Trieste per mancanza di esigenze cautelari. L'imputato, infatti, non aveva più contatti con il ragazzino e aveva smesso di allenare squadre di calcio giovanile. Si è sempre dichiarato estraneo alle accuse e ieri l'avvocato Piero Cucchisi ha ricordato che non c'è alcun elemento di prova contro di lui. Ad accusarlo c'è soltanto il ragazzino. «C'era il mito del mister omosessuale - ha detto - e le voci sono capaci di distruggere una persona». Secondo il difensore, le indagini non avrebbero raccolto prove di colpevolezza. Nulla era emerso dalla perquisizione di cellulare e computer. Nulla era emerso dalle telecamere nascoste negli spogliatoi del campo di calcio.
Ad avviare le indagini, dopo che il ragazzo si era confidato con un amico, erano stati i carabinieri del Nucleo operativo di Pordenone. A un certo punto il baby calciatore si era ritrovato solo contro tutti. Sottoposto a tre audizioni protette, non si era mai contraddetto e i consulenti avevano confermato alla Procura - il fascicolo era del pm Matteo Campagnaro - che il ragazzo era attendibile. A quel punto, con la formula dell'incidente probatorio, era stata raccolta anche la testimonianza dell'amico che per primo aveva ascoltato le sue confidenze. Dopo l'audizione, la denuncia della vittima aveva acquisito ulteriore attendibilità. In seguito alla notizia uscita sui giornali, si presentarono dai carabinieri un paio di ex ragazzi allenati dal 69enne. Avevano raccontato di aver subìto, ancora adolescenti, attenzioni da parte del mister. Lo hanno confermato anche al processo.
La difesa attende di leggere le motivazione della sentenza per poi presentare appello. Ieri ha insistito molto sulla credibilità del ragazzo. Un ragazzo litigioso, violento a scuola (sospeso due giorni, 6 in condotta e 30 note nel primo quadrimestre), aggressivo perchè vittima di frasi a sfondo razziale e privo di timori verso l'autorità. «Indagini e processo - ha insistito il legale - non hanno stabilito se ha detto la verità».
 
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