Altan: «Noi disegnatori satirici in crisi: i politici ci rubano il lavoro»

Lunedì 4 Novembre 2019 di Edoardo Pittalis
Altan: «Noi disegnatori satirici in crisi: i politici ci rubano il lavoro»
1
«Oggi noi disegnatori satirici abbiamo un tipo nuovo di problema: i politici tendono a fare tutto da soli, anche la presa in giro. Ti rubano le battute». Lui di satira se ne intende. Da 50 anni con la matita racconta sui giornali la nostra vita e la nostra politica. Ma disegna anche i sogni dei bambini: è sua la Pimpa.
Lo conoscono solo col cognome che suona come una sigla: Altan. «È sempre stato così, nessuno quasi mi chiama per nome. Mio padre ci mise un trattino in mezzo per far capire che Tullio era un doppio cognome. Il ramo Altan si era interrotto, era rimasta una zia che aveva sposato un Tullio e mio nonno ha fatto mettere insieme i due cognomi: da senatore del Regno aveva queste entrature».
Francesco Tullio Altan vive ad Aquileia, è nato a Treviso nel 1942: «All'Ospedale Maggiore, nella città di mia madre, Eleonora Sernagiotto. All'epoca mio padre era in guerra».

A Roma al Maxxi gli hanno dedicato una mostra antologica, aperta fino al 12 gennaio, con disegni, poster, libri, filmati. «Qualche anno fa ero a Rio per un Festival e incontro Alberto Breccia, un grande del fumetto mondiale, che doveva andare in Canada per un riconoscimento: Vedi, questi sono i premi gerontologici, a una certa età ti arrivano comunque. Adesso sta succedendo a me!».

Ha pesato molto un padre famoso antropologo?
«Abbiamo fatto percorsi molto diversi, però è stato importante per me: era un bravo maestro, sapeva spiegare le cose. Mi ha sicuramente aiutato a capire un po' come sono fatti gli italiani perché quello era il suo oggetto principale di studio ed è diventato anche il mio. Mio padre dopo l'8 Settembre ha fatto la Resistenza con le formazioni della Osoppo, poi è stato rappresentante del Partito Liberale nel CLN, accanto a Benedetto Croce. La prima cattedra di antropologia culturale in Italia è stata la sua. Ma anche lui aveva avuto un padre famoso, un personaggio importante, soprattutto da queste parti, dove aveva una grande azienda agricola».

Come è stata l'infanzia di Altan?
«L'ho vissuta fino ai 7 anni a San Vito al Tagliamento, poi i miei si sono separati e con mia madre siamo andati a vivere a Bologna, ho una matrice bolognese abbastanza sviluppata. A Firenze mi sono iscritto in Ingegneria e poi in Architettura. A un certo punto con tutti i compagni bolognesi abbiamo deciso di trasferirci a Venezia: c'erano Roberto D'Agostino col quale ho abitato, Gianni Predieri, Sergio Staino che disegnava già vignette eccezionali. All'epoca la facoltà di Venezia era la migliore che ci fosse in Italia, ma io in realtà non ho mai pensato di diventare architetto».

Quando ha scoperto che era il disegno la sua strada?
«Fin da piccolo era quella la mia vera passione. A un certo punto ho incominciato a fare disegni col testo anche ispirato dall'americano Jules Feiffer, i primissimi li ho pubblicati - quando ero ancora a Venezia - sul settimanale Le Ore. Nel frattempo, per me c'è stato il Brasile: il mio amico Gianni Barcelloni, il cui padre dirigeva a Venezia la Telve che era la compagnia telefonica, era andato a Roma a lavorare per il cinema e mi ha chiamato per collaborare a un programma della Rai sulla musica popolare. C'era una piccola troupe pronta a partire per il Brasile. Era il 1967, praticamente ho lasciato in quel momento l'università».

A quel punto nella sua vita è entrato definitivamente il Brasile?
«Prima sono tornato per un periodo a Roma e ho pubblicato i lavori su Playmen che era una versione italiana di Playboy. Ma ormai c'era il Brasile nella mia testa, sono ritornato per un altro progetto di Barcelloni e questa volta quando gli altri sono ripartiti io sono rimasto. A Rio ho conosciuto mia moglie Mara, a Rio è nata mia figlia Kika. Mi ha conquistato la bellezza dei posti, l'umanità della gente, le sole cose che mi mancavano erano l'alternanza delle stagioni e il Parmigiano. Ci torniamo spesso, mia moglie ha una famiglia grande. È stato laggiù che ho cominciato a fare un fumetto per bambini, quando stava per nascere mia figlia e mi dovevo preparare alla novità. In Brasile lavoravo anche per televisione e cinema come scenografo con mia moglie costumista. Fino a quando sono stato messo in contatto con un argentino che aveva aperto a Milano un'agenzia per autori, gli è piaciuto il mio lavoro e mi ha presentato a Oreste Del Buono, il direttore di Linus. Ho iniziato con le storie di Trino che disegnavo già in Brasile, un dio impacciato alle prese con la creazione del mondo. Il lavoro era partito molto forte e con Mara abbiamo deciso di rientrare, ma lei non sopportava il clima di Milano e come alternativa siamo venuti ad Aquileia dove c'era questa grande casa del nonno vuota dopo il terremoto. Siamo qui dal 1976. Mia figlia poi è andata a Venezia per fare architettura e lei l'ha finita: un architetto Altan c'è!».

Come era l'ambiente di Linus?
«Il direttore Del Buono era molto intelligente e molto colto, abbastanza cattivo quando voleva. Però è stato per me importante e mi ha sostenuto quando l'allora direttore del settimanale L'Espresso Livio Zanetti mi ha spinto a occuparmi di satira politica. Collaboravano Crepax con la sua Valentina, Pericoli e Pirella, ma frequentavo poco la redazione. Grazie al mio agente ho conosciuto anche Quino e Mordillo e Breccia padre e figlio. Ora quel momento magico del fumetto in Italia è passato, con Del Buono e Umberto Eco era arrivato a dignità letteraria. Speriamo nelle Graphic Novel, ma in Francia se esce un libro di fumetti va direttamente in libreria accanto ai romanzi, qui invece».

Come è nato il successo della Pimpa?
«La Pimpa è nata quando Kika aveva due anni, facevo disegnini per lei e a un certo punto è spuntata questa cagnolina che il Corriere dei Piccoli ha subito pubblicato, con mio stupore. Ha avuto anche varie versioni al cinema, adesso faccio la regia da solo: sono film molto semplici, senza effetti particolari, funzionano benissimo anche in televisione, l'ultima serie è stata appena presa da Netflix. Tengo conto del fatto che sono i genitori che leggono le storie ai loro bambini, è un personaggio che i bambini sentono molto come compagno di giochi, quando smettono di leggere mi scrivono lettere di saluto: Ho smesso perché adesso sono grande, ma mi ricorderò di te. Ormai sono tre generazioni che hanno letto la Pimpa da piccoli e ora la leggono da genitori. Ha 44 anni di vita, è tra i personaggi più longevi del fumetto italiano».

E la popolarità di Cipputi?
«È nato l'anno in cui stavo a Milano, immagino fosse qualcuno che ho visto sul tram ed è diventato presto un emblema della classe operaia, anche usato dai giornali come sinonimo dell'operaio. Ha fatto una bella carriera, adesso è un po' in ombra come gli operai. Dico sempre che lo tengo nella riserva, come quegli specialisti che nei film tipo La sporca dozzina si vanno a cercare perché c'è un'impresa da compiere. Lo richiamo quando ci sono problemi fondamentali. Ho incontrato tanta gente che mi dice: Cipputi sono io. E a sentirli e vederli, forse avevano ragione».

Lavora da molti anni su settimanali e quotidiani
«Il primo è stato Panorama, sono passato a L'Espresso e più tardi è arrivata La Repubblica. Non ho mai avuto la funzione di aspettare dalle redazioni le indicazioni sui temi per il quotidiano, io mando quando mi sembra di avere un'idea. Scalfari mi aveva proposto di sostituire ogni giorno Forattini che era andato via, gli ho spiegato che non potevo farcela, sarei dovuto andare ogni sera a Udine per spedire il fuorisacco. Lui mi mostrò il primo fax! C'è in giro gente davvero brava, ma il quotidiano richiede talenti speciali, credo che Elle Kappa per la quotidianità forse è la meglio di tutti».
 
Ultimo aggiornamento: 5 Novembre, 11:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci