La guerra all'anonimato sul web è necessaria

Lunedì 4 Novembre 2019 di Francesco Grillo
I talebani di Internet. Ormai sono una vera e propria tribù. Dogmatici. Testardamente intenti a farsi del male e a farlo agli ideali democrazia, Europa, concorrenza corretta, progresso che sono anche nostri. Ne sono dimostrazione gli insulti riservati alla mezza proposta fatta da Luigi Marattin - non certo un sovranista - di togliere l'anonimato a chi si iscrive ad un social network per fare in modo che quelli che seminano odio e falsità rispondano di ciò che dicono.
La presa di posizione di Marattin (che si riferisce, soprattutto, al vecchio Facebook) ha il limite di essere una provocazione: essa può avere una scala sufficiente solo se la portiamo a livello europeo; e solo se diventa parte di una strategia più complessiva. Laddove il problema delle notizie false è solo uno di quelli posti dalla straordinaria infrastruttura attraverso la quale ci scambiamo tutte le informazioni personali, politiche, industriali, militari e ridistribuiamo, dunque, potere. Tuttavia, vale la pena di smontare una a una le quattro stroncature riservate all'ipotesi di rimuovere l'anonimato sui social, per capovolgerle in altrettante idee attorno alle quali si può costruire un progetto più ampio che per l'Europa è davvero questione di sopravvivenza.
Innanzitutto dicono i talebani - identificare chi si iscrive ad un social è impossibile e anche se non lo fosse, nessuno potrebbe impedire ad un odiatore di seminare insulti accedendovi attraverso un Paese (la Russia, ad esempio) che non aderisca alle nostre regole. È vero che la carta d'identità non è un metodo di identificazione efficiente. E tuttavia è strano che sfugga ai tecnici della Rete il potere identificativo di una semplice carta di credito. E quello di macchine che, ormai, riconoscono chi scrive attraverso impronte digitali o riconoscimento facciale.
Più consistente l'obiezione su come faccia uno Stato (o, anche, una Unione di Stati, come quella europea) a regolare un ambiente senza confini. In Cina hanno semplicemente scelto di costruire una barriera che fa di quell'immenso Paese un universo digitale parallelo. Senza ricorrere a soluzioni così drastiche, l'Europa ha la forza commerciale di chiedere alle piattaforme di bloccare tutti gli utenti che non sono registrati in Paesi che aderiscano ai propri standard. 
O, al contrario, di segnalare come di origine controllata tutti quelli che rispettano certi criteri. Il punto fondamentale è però che, finalmente, ci si accorga di una verità elementare: difendere una società aperta significa proteggerla da chi vuole disintegrarla. 
Chi si oppone alla rimozione dell'anonimato, teme, poi, che così togliamo voce a chi rischia ritorsioni da parte di uno Stato autoritario o di un individuo. In realtà, rendere ciascuno responsabile di ciò che dice serve proprio a questo: proteggere da una violenza che ormai assomiglia ad un veleno che non risparmia nessuno; laddove come già succede nella realtà non virtuale chi è in pericolo potrebbe essere autorizzato a utilizzare generalità non sue. 
Vero è che già oggi si può risalire agli odiatori attraverso il codice associato ad un computer. Ma qui parliamo di dare ad un qualsiasi cittadino (e non solo allo Stato) la possibilità di sapere con chi parla, eliminando una di quelle asimmetrie informative che i profeti della Rete volevano eliminare. 
Tuttavia, tutti questi argomenti tornano all'ideologia dalla quale i talebani partono: la convinzione che tocchi a Facebook disciplinare ciò che è uno spazio privato, come se stessimo parlando del gestore di una discoteca qualsiasi. Negli Stati Uniti, nel 1850, le grandi ferrovie nate da iniziative private furono fortemente regolate o, addirittura, nazionalizzate, perché erano diventate infrastruttura di interesse pubblico. Fu quella una scelta fondamentale per completare una grande rivoluzione industriale. Oggi si pone lo stesso problema. 
Non possono che essere di interesse pubblico le strade alle quali cediamo tutta l'informazione e, dunque, il potere che all'informazione è connesso. Conviene a tutti, anche a Seattle e alla Silicon Valley accorgersi che il mercato senza regole finisce con lo strangolare se stesso e anticipare le richieste che stanno per arrivare dall'Europa e dal prossimo presidente degli Stati Uniti.
Lo sbaglio più grave che i tecnici di Internet fanno è quello di ritenere la Rete il proprio territorio. Il sistema informativo globale sta collegando non solo computer, ma competenze, domini accademici, settori produttivi. Per affrontarne i problemi c'è bisogno di trovare una semantica che colleghi ingegneri, scienziati della politica, avvocati, economisti, antropologi, linguisti, filosofi. In fondo è un problema cognitivo quello più grosso che ci sta impedendo di imparare a capire la mutazione che definisce un secolo cominciato già da diciannove anni.
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