Al Baghdadi morto in un raid Usa in Siria, Trump: si è fatto esplodere con tre figli. Ucciso anche il braccio destro

Domenica 27 Ottobre 2019
Al Baghdadi morto in un raid Usa in Siria, Trump: si è fatto esplodere con tre figli. Ucciso anche il braccio destro

Abu Bakr al Baghdadi è morto, stavolta davvero. Sono passate da poco le nove del mattino alla Casa Bianca e Donald Trump lo annuncia al mondo in diretta tv: il leader supremo dell'Isis, dopo una caccia durata anni, è finito «come un cane, come un codardo», inseguito dagli uomini delle forze speciali americane in un tunnel segreto del suo nascondiglio (FOTO), nel nord-ovest della Siria. Lo hanno sentito piangere e urlare prima di farsi saltare in aria, uccidendo nell'esplosione tre dei suoi figli che erano con lui.

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L'ultimo audio diffuso da Al-Baghdadi che incitava i seguaci ad agire

Fonti delle Forze democratiche siriane, a prevalenza curda, hanno fatto sapere che anche Abu Hassan al-Muhajir, portavoce dell'Isis e braccio destro di Abu Bakr al- Baghdadi, è stato ucciso nel nord della Siria, vicino ad Aleppo. Anche Rita Katz, direttrice del sito che monitora la propaganda jihadista, Site, ha reso noto che al-Muhajir sarebbe stato ucciso in un'operazione degli americani diversa da quella che è costata la vita ad al Baghdadi.

La Katz rileva che una conferma sulla morte è più difficile, perché l'Isis non ha mai diffuso notizie su di lui. Il suo ultimo messaggio risale al marzo di quest'anno, quando aveva ironicamente contestato la dichiarazione di vittoria degli Usa sull'Isis. In quell'occasione, al-Muhajir aveva anche condannato le due sparatorie nelle moschee di Christchurch, in Nuova Zelanda, ad opera di un australiano di estrema destra.

«Un successo incredibile, una grande notte per gli Usa e per il mondo intero», ha esultato il presidente americano dopo la conferma ufficiale della morte di al Baghdadi. Dalla Situation Room ha seguito passo passo il raid affidato ai Rambo della Delta Force, a cui avrebbe dato il via libera una settimana fa. Un blitz durato circa due ore, col tycoon costantemente informato sull'andamento dell'operazione fino alla comunicazione finale, quella più attesa, quando tutto attorno al compound vicino a Idlib era tornata la calma: «Signor presidente, è lui!».
 
La maschera della tensione, immortalata in uno scatto, allora si è sciolta sul viso di Trump, attorniato dai fedelissimi: il vicepresidente Mike Pence, il consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O'Brien, i capi del Pentagono e del Dipartimento di Stato Mark Esper e Mike Pompeo. E poi i vertici dell'intelligence, determinanti nel localizzare l'obiettivo. «È stato come guardare un film», ha spiegato il presidente davanti alle telecamere. Raggiante, nonostante i segni della stanchezza. E non potrebbe essere diversamente: piazza il grande colpo nel momento più difficile della sua presidenza, schiacciato tra l'indagine per impeachment e la controversa decisione di ritirare le truppe Usa dalla Siria, abbandonando gli alleati curdi di fronte all'offensiva turca. Proprio quegli alleati che lo hanno aiutato a sbaragliare lo Stato islamico.

E invece all'improvviso per lui arriva il momento della rivincita, quello in cui a testa alta può parlare da vero Commander in Chief, rivendicando il ruolo che finora era riuscito a interpretare con maggiore difficoltà. Ora anche lui, come Barack Obama, ha il suo scalpo. E il tycoon non riesce a trattenersi dal fare un confronto: al Baghdadi, per lui, «è più importante» di Osama bin Laden.
 
 

​Che ci fossero novità di rilievo nell'aria lo si era capito già sabato sera, quando su Twitter lo stesso Trump aveva annunciato a sorpresa che avrebbe parlato al Paese: «Qualcosa di grande è appena accaduto», si era limitato a scrivere. Pochi minuti, e sui principali media è stato chiaro che l'annuncio avrebbe riguardato l'inafferrabile al Baghdadi, il leader quasi invisibile del Califfato, più volte dato per spacciato ma sempre risorto, e che fino all'ultimo ha tentato di far sparire ogni traccia, innescando il detonatore del giubbotto suicida che indossava. Quasi un ultimo dispetto, per non regalare ai nemici la soddisfazione di avere il suo corpo.

Di lui restano dei brandelli sui cui sono già stati compiuti accurati esami sul posto, test che confermano l'identità del cadavere. «Abbiamo il suo Dna», ha detto il presidente americano, cercando di fugare ogni dubbio. Anche perché il lavoro di recupero dei resti è stato reso particolarmente complicato dalla presenza delle macerie del cunicolo crollato nell'esplosione. Un vicolo cieco che non ha lasciato scampo al leader jihadista. 
 

Tempi duri insomma per chi fino ad oggi ha avuto vita facile nell'attaccare la gestione della politica estera del tycoon, accusandolo di tradimenti e voltafaccia nei confronti degli alleati e di rinunciare addirittura alla lotta all'Isis e al terrorismo islamico. Altro che disimpegno. «I terroristi non potranno mai dormire tranquilli perché devono sapere che noi saremo sempre qui pronti a catturarli ed ucciderli», ha assicurato Trump, che ha avvertito: «Conosciamo già il successore di al Baghdadi, è nel mirino!».

Ora in cima alla lista dei most wanted c'è Ayman Abdel Rahman al Zawahiri, leader di al Qaida su cui pende una taglia da 25 milioni di dollari. Ha ringraziato tutti Trump, la Russia, la Turchia, la Siria, l'Iraq e i curdi siriani: «Tutto è stato possibile anche grazie a loro». Peccato che gli unici a non sapere nulla erano i vertici del Congresso americano. Neanche la speaker della Camera Nancy Pelosi, terza carica dello Stato e nemica numero uno del tycoon, è stata informata: «Come sapete Washington è regina nella fuga di notizie e noi non ci siamo fidati. Le nostre truppe potevano finire nei guai».

Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 06:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA