«Noi, imprese venete nelle mani della mafia». Nel giro anche il notaio e il candidato

Giovedì 17 Ottobre 2019 di Gianluca Amadori
«Noi, imprese venete nelle mani della mafia». Nel giro anche il notaio e il candidato
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Carabinieri e Finanza l'hanno denominata Operazione Avvoltoio e fa seguito all'inchiesta che, lo scorso marzo, ha puntato i riflettori su una serie di episodi di infiltrazione in Veneto della ndrina calabrese Grande Aracri, facente capo alla famiglia Bolognino, vicende per le quali sono finite in carcere 13 persone ed altre 14 ai domiciliari.

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Ieri mattina all'alba è stato arrestato, con l'accusa di estorsione con l'aggravante mafiosa, Antonio Genesio Mangone, 54 anni, originario di Cosenza e residente a Finale Emilia, già ai domiciliari per una vicenda analoga, ora indagato in relazione a tre nuovi episodi venuti alla luce grazie alle confessioni rese da altrettanti imprenditori, due dei quali, Leonardo Lovo, di Campagna Lupia, e Adriano Biasion, di Piove di Sacco, hanno reso interrogatorio dopo essere finiti in manette lo scorso inverno, ammettendo di aver emesso false fatture per conto dell'ndrangheta, ma anche raccontando nuovi fatti. Assieme a Mangone sono indagati per estorsione lo stesso Biasion, Antonio Gnesotto di Saonara (ma residente a Villorba) e il vicentino Giulio Cuman. Gli inquirenti hanno eseguito anche una quindicina di perquisizioni, 11 delle quali a carico di imprenditori (non indagati) di Venezia, Padova e Treviso, nella  speranza di abbattere il muro di omertà e trovare nuovi riscontri dell'infiltrazione della malavita organizzata e altri reati. Perquisito anche un notaio di Saonara, in provincia di Padova, Gianluigi Maculan: nei suoi confronti la pm Paola Tonini ipotizza un concorso nel reato di estorsione ai danni del costruttore edile, Mario Borella, di Camponogara, candidato sindaco a Mira per la Lega nel 2012, il quale ha raccontato di essere stato costretto da Mangone, con la minaccia, a firmare la quietanza di pagamento di un negozio, a Sambruson di Dolo, che in realtà non gli è mai stato pagato. Firma avvenuta nello studio del notaio che, stando al racconto dell'imprenditore, di fronte alle sue rimostranze si sarebbe messo ad urlare, aggredendolo verbalmente, dimostrando un rapporto di amicizia e confidenza con Mangone. Maculan si è detto sereno e si è messo a disposizione della Procura per chiarire la sua posizione, precisando di aver agito in buona fede: Mangone gli era stato presentato da Biasion, di cui era notaio di fiducia.

«PAGA I TUOI DEBITI»
La prima estorsione contestata a Mangone riguarda la riscossione di un credito relativo ad un prestito usuraio di 300mila euro (con interessi del 20 per cento al mese) che Lovo aveva ottenuto da un soggetto poi finito in carcere, al quale si era rivolto per far fronte ad una serie di difficoltà aziendali: con minacce e intimidazioni l'imprenditore sarebbe stato costretto a versare 4500 euro, un orologio Franck Muller e gioielli: «Quella gente lì è in galera, tu stai tranquillo. Devi pagare per i tuoi debiti che hai fatto... Assumiti la tua responsabilità, siamo tutti una famiglia - gli disse Mangone per indurlo a far fronte al suo debito - Non ti preoccupare, tu lavora, paghi le tue cose e andiamo avanti...»

«SIAMO TUTTI UNA FAMIGLIA»
La seconda vittima di estorsione è un imprenditore di origini albanesi, Adrian Arcana, residente a Rubano (già indagato nell'operazione dello scorso marzo), sottoposto a minacce e violenze per impedire che portasse all'incasso due assegni (evidentemente scoperti) che gli erano stati consegnati a pagamento di lavori edili: «Io sono calabrese, non vado per le vie legali - gli spiegò Mangone - Siamo tutti una famiglia... ti proteggiamo, ti diamo tutto quello che è giusto ma devi fare quello che diciamo noi sennò hai finito di stare in Italia, hai finito di lavorare... Noi siamo quelli che tagliano le gambe... Sono un uomo d'onore... sono il numero uno... e tu sei un amico... la tua fortuna è che sono venuto a mangiare a casa tua... ho visto la tua famiglia e ti stimo... perché se ti volevo male a quest'ora ero già venuto... L'assegno devi darcelo a noi che sistemiamo...»

«LE COSE VANNO A FINIRE MALE»
Infine l'estorsione a carico di Borella, titolare della Golden costruzioni, il quale ha riferito di aver ceduto un negozio a Sambruson alla Bologna Group srl (di fatto gestita da Mangone) senza aver ricevuto il prezzo convenuto di 75mila euro. E, successivamente di essere stato obbligato a firmare una quietanza di avvenuto pagamento, nonostante l'assegno portato di fronte al notaio non gli sia mai stato consegnato. «Tu devi venire a firmare, che tu voglia o non voglia - lo minacciò Mangone - Io sono una persona onesta... ma tu stai attento che se non fai effettivamente le cose vanno anche a finire male...»

«ERAVAMO IN GALERA ASSIEME»
Dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Gilberto Stigliano Messuti emergono gli stretti contatti esistenti tra Mangone i fratelli Michele e Sergio Bolognino, componenti di spicco della cosca Grande Aracri (trasferitisi in Emilia Romagna e finiti sotto inchiesta nell'operazione Aemilia, conclusasi con pesanti condanne). Lovo si era rivolto a loro, su consiglio di Biasion, per chiedere di fermare le minacce di Mangone, annunciandogli l'intenzione di volerlo denunciare. «No, non si fanno queste cose - gli risposero i Bolognino - Siamo tutti una famiglia... Abbiamo fatto la galera assieme, vedrai che sistemiamo tutto».
Gianluca Amadori

Ultimo aggiornamento: 18 Ottobre, 09:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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