Juve, manager D'Angelo: «Per partita sicura cedevo biglietti pur sapendo di business»

Lunedì 16 Settembre 2019
Juve, manager D'Angelo: «Per partita sicura cedevo biglietti pur sapendo di business»

La condizione di soggezione della Juventus al ricatto dei propri tifosi si comprende bene alla luce delle dichiarazioni rese da Alessandro D'Angelo, security manager della società agli inquirenti: «... i gruppi erano in condizione di procurare gravi danni alla società con comportamenti quali cori a sfondo razzista e cose simili - è riportato nell'ordinanza - dai quali sarebbero potuti derivare danni seri alla società medesima, d'immagine ed economici. Allora proposi di venire incontro ai gruppi con dei biglietti per la preoccupazione di evitare quei danni...» Dice ancora D'Angelo: «Venne fuori la possibilità in determinate occasioni di fare questo: pur rendendomi conto dell'irregolarità amministrativa di quel che facevamo, ma ritenendo di agire per garantire l'ordine, rappresentai a Dominello (Rocco, condannato con la citata sentenza per 416 bis c.p., ndr), che se i gruppi avessero avuto delle necessità potevamo cercare di far acquistare loro dei biglietti. Si valutava la loro richiesta numerica, e la loro richiesta a quel punto divenne sistematica ed era sempre numericamente altissima, mediavamo, cercando di fargliene avere di meno e gestivamo in tal modo la situazione».

Per garantire una partita sicura, dunque, bisognava scendere a compromessi. «Cedevo quanto ai biglietti - racconta il dirigente - sapendo bene che facevano business. Ho fatto questo perché ho ritenuto che la mediazione con il tifo organizzato, nell'ambito del quale mi erano note aggressioni anche con armi, minacce ed altro, fosse comunque una soluzione buona per tutti. La gente avrebbe avuto uno stadio sicuro, i biglietti non erano regalati ma venduti, mi è sempre dispiaciuto che ciò sottraesse disponibilità di acquisto di biglietti al pubblico e non ho avido mai il coraggio personale di trovare altre soluzioni per fronteggiare i tifosi di quel genere».

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La condizione di soggezione della Juventus s.p.a. al ricatto dei propri tifosi si comprende bene alla luce delle dichiarazioni rese da Alessandro D'Angelo, security manager della società agli inquirenti: «... i gruppi erano in condizione di procurare gravi danni alla società con comportamenti quali cori a sfondo razzista e cose simili - è riportato nell'ordinanza - dai quali sarebbero potuti derivare danni seri alla società medesima, d'immagine ed economici. Allora proposi di venire incontro ai gruppi con dei biglietti per la preoccupazione di evitare quei danni...» Dice ancora D'Angelo: «Venne fuori la possibilità in determinate occasioni di fare questo: pur rendendomi conto dell'irregolarità amministrativa di quel che facevamo, ma ritenendo di agire per garantire l'ordine, rappresentai a Dominello (Rocco, condannato con la citata sentenza per 416 bis c.p., ndr), che se i gruppi avessero avuto delle necessità potevamo cercare di far acquistare loro dei biglietti. Si valutava la loro richiesta numerica, e la loro richiesta a quel punto divenne sistematica ed era sempre numericamente altissima, mediavamo, cercando di fargliene avere di meno e gestivamo in tal modo la situazione».

Per garantire una partita sicura, dunque, bisognava scendere a compromessi. «Cedevo quanto ai biglietti - racconta il dirigente - sapendo bene che facevano business.

Ho fatto questo perché ho ritenuto che la mediazione con il tifo organizzato, nell'ambito del quale mi erano note aggressioni anche con armi, minacce ed altro, fosse comunque una soluzione buona per tutti. La gente avrebbe avuto uno stadio sicuro, i biglietti non erano regalati ma venduti, mi è sempre dispiaciuto che ciò sottraesse disponibilità di acquisto di biglietti al pubblico e non ho avido mai il coraggio personale di trovare altre soluzioni per fronteggiare i tifosi di quel genere».

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