Ferite italiane/Rispondere alla tragedia da Paese più maturo

Martedì 30 Luglio 2019 di Carlo Nordio
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Per parafrasare in senso aristotelico un vecchio e abusato proverbio orientale, quando il saggio guarda alla sostanza lo stolto guarda all’accidente. Se poi lo stolto è anche sinistramente orientato confonde questo con quella, e diventa come il bruco che dopo essersi mangiato la polpa crede di esser diventato la mela. Non altrimenti, infatti, si potrebbe definire il singolare atteggiamento di chi, davanti all’orrendo assassinio di un carabiniere in servizio, esaurita sommariamente la rituale condoglianza concentra la sua vis polemica su un evento marginale. Deplorevole fin che si vuole, ma sempre e comunque marginale. Parliamo, ovviamente, del trattamento riservato al ragazzo californiano durante la permanenza in caserma, evento che ha fatto passare quasi in secondo piano le undici coltellate inferte alla povera vittima. Così dimostrandosi, una volta di più, che il nostro paese è incapace di sottrarsi alla strumentalizzazione politica anche negli attimi del raccoglimento e del dolore.

Prima di tutto una cosa. Chiunque abbia un minimo di esperienza investigativa sa che in qualsiasi parte del mondo un arrestato in flagranza per l’omicidio di un poliziotto avrebbe subito un trattamento molto peggiore di quello riservato a Gabriel Hjorth. Gli americani lo chiamano “tune up” e i francesi, più letterariamente, “passage à tabac”. 

E in ogni lingua c’è un’espressione equivalente per definire la reazione inconsulta di un poliziotto esasperato. Da quando esistono i telefonini e ognuno di noi è diventato regista e produttore, questa reazione è stata documentata mille volte, dai violentissimi calci ai “gilets jaunes” alle vessazioni, ben più violente, della polizia americana anche per fatti di modesta entità. E parliamo, ovviamente, del mondo libero e democratico, perché sul resto è meglio stendere un velo pietoso. Questo, ovviamente, non significa che l’atto sia lecito e nemmeno lontanamente giustificabile: va punito con severità. Ma neppure chi ha sacre le garanzie di qualunque imputato potrebbe mettere sullo stesso piano, assimilandoli, fatti di gravità non commensurabile. 
Ed invece da noi è accaduto proprio questo, perché da parte di alcuni maestri di buoni o di cattivi pensieri, un riprovevole gesto di caserma ha quasi sopravanzato - in indignazione pilotata - la tragedia di un omicidio. Per un attimo è sembrato che le ferite mortali di Mario Cerciello Rega fossero davvero delle “povere bocche mute” condannate non solo a tacere ma anche a far tacere chi prendesse le difese dell’Arma dei Carabinieri. Va reso onore al loro Comandante Generale di aver ammonito a non infliggere al corpo martoriato la dodicesima coltellata, quella più dolorosa. E vanno accolte con sollievo le spontanee partecipazioni alle esequie e il minuto di silenzio proclamato dalla Rai. Ma queste manifestazioni solidali non ci consolano del raccapriccio di aver letto e ascoltato i consueti sibili di polemica dettati da quell’inestinguibile rancore che non si affievolisce neanche davanti alle aggressioni agli uomini in divisa. Ieri, i finanzieri che hanno rischiato di esser schiacciati dalla nave di un’Antigone che è già diventata una diva. Oggi un carabiniere assassinato da un ragazzo definito dal Giudice “immaturo e senza controllo”. 

Per finire, una considerazione giuridica. Noi siamo grandi ammiratori della democrazia americana e persino del suo sistema giudiziario, che come tutti i sistemi ha pregi e difetti, non ultimo quello di riabilitare dopo qualche decennio i condannati spediti per errore sulla sedia elettrica. Ma possiamo rassicurare l’illustre avvocato Alan Dershowitz, che in un’intervista ha già sollevato dubbi sulla legalità della nostra procedura, che il trattamento scorretto tenuto in caserma nei confronti di Gabriel Hjorth non influirà minimamente sulle indagini né tantomeno sulla competenza a giudicare. Non sulle indagini, perché le prove già raccolte dal Gip e quelle che successivamente che verranno portate in Aula saranno completamente svincolate da eventuali dichiarazioni ottenute sotto eventuali pressioni improprie. E non sulla competenza, perché il reato è stato commesso in Italia, e a danno di un cittadino italiano, e quindi l’idea che il processo possa svolgersi “aliunde” è semplicemente metafisica. Se vuole, l’avvocato Dershowitz può però assistere al procedimento, ed entro certi limiti anche parteciparvi. Si accorgerà che, con tutte le nostre magagne, la nostra Giustizia può anche funzionare meglio della sua.
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