Ancora allarme in via Piave, sono tornati gli spacciatori

Mercoledì 10 Luglio 2019 di Davide Tamiello
Un'immagine di via Piave
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Luglio 2019, ore 14.30. «Ciao my friend, ti serve qualcosa? Io ho tutto». Valerio viene da Bari, è a Venezia solo per qualche giorno. Esce dalla stazione, l’hotel è a due passi ma nel tragitto viene intercettato da un ragazzo dalla carnagione olivastra. Dentro il suo zaino, un campionario completo di ogni tipo di stupefacente proposto alla clientela alla luce del giorno: dalla cocaina all’eroina, dalla marijuana alle metanfetamine. È un episodio, una fotografia di quanto accade oggi a cadenza regolare, minuto dopo minuto, in via Piave.
 
A un anno di distanza dall’operazione del 10 luglio, l’indagine della polizia che ha portato allo smantellamento della mala nigeriana di via Trento e via Monte San Michele con 41 ordinanze di custodia cautelare, il rione è tornato alla sua “vocazione” originale, con punte di anche trenta pusher operativi ogni sera dalla stazione a via Carducci. Ma con delle sostanziali differenze rispetto a prima: non ci sono più etnie contrapposte fra loro, non più guerre per il dominio del territorio. I gruppi criminali, insomma, avrebbero raggiunto una sorta di accordo per proseguire le loro attività criminali. C’erano una volta i nigeriani e i tunisini. A dividerli, un anno fa, c’era un muro. Un muretto, a essere precisi: quello dei giardini di via Piave. Invalicabile dall’una e dall’altra fazione: piazzale Bainsizza fortino dei maghrebini, l’area verso il quadrilatero con via Stazione, via Monte San Michele e via Col di Lana dominata dagli spacciatori nigeriani. Una divisione che ora non esiste più. I due gruppi sembrano essersi fusi: si scambiano le postazioni, avanzano anche a coppie a volte. Il motivo è semplice: le forze dell’ordine, in questi 365 giorni, non sono rimaste a guardare. Tra polizia, vigili, carabinieri e lagunari, il presidio nella zona a ridosso della stazione ferroviaria è (quasi) costante. Gli spacciatori a questo punto devono aver semplicemente scelto il male minore: non pestarsi i piedi per non facilitare il lavoro di chi vuole sbatterli in prigione. In più, la famiglia si è allargata. Non ci sono più solo quelle due fazioni, ora c’è una babele multietnica per lo spaccio di sostanze stupefacenti: agli albanesi, altro gruppo storicamente forte in questo campo, si sono aggiunti per esempio bengalesi e russi, new entry nel fiorente mercato dello spaccio di droga. In questo nuovo panorama, le prostitute svolgono un loro ruolo. Oltre al mestiere più antico del mondo, infatti, fanno anche da “promoter”per i venditori di droga. Mettono in contatto i clienti con i pusher, favoriscono gli incontri. Se si tratti di uno scambio merce o di un vero accordo economico non è dato saperlo. Il loro coinvolgimento, però, sembra essere costante e organizzato, non un piacere occasionale.  Il clima, qui, insomma, è tornato caldo, e un gruppo di residenti sta tentando di ribellarsi. «Ci minacciano, ci insultano - racconta esasperato M.C. - Con qualcuno si è arrivati a tanto così dallo scontro. Spacciano a ogni ora, si piazzano ad ogni incrocio di via Piave e via Felisati, è una situazione invivibile». E non appena arrivano polizia e carabinieri, spariscono nel nulla. «Non si fanno trovare, sono bravi a prendere le vie di fuga più rapide e far perdere le loro tracce. Quando le volanti si fermano per un po’, torna la pace. Quando le forze dell’ordine ripartono, siamo punto a capo». Quella che propongono i residenti è una soluzione estrema, al limite della provocazione. «Vogliono eliminare il problema? - continua M.C. - si recintino i giardini di via Piave. È lì che si incontrano, è da lì che i pusher partono per diffondersi a raggiera in tutto il rione».
Ultimo aggiornamento: 09:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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