Dal CNEL una proposta di legge per ridurre il divario di genere, multe salate alle aziende da 50 dipendenti in su

Martedì 25 Giugno 2019 di Franca Giansoldati
Dal CNEL una proposta di legge per ridurre il divario di genere, multe salate alle aziende da 50 dipendenti in su

SI chiama «Codice delle pari opportunità tra uomo e donna» la proposta di legge del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, CNEL, annunciata in aula alla Camera. «Senza aggravio di costi per le casse dello Stato» il provvedimento «rappresenta il continuum di un percorso avviato negli anni precedenti», per riuscire a ridurre il gap di genere negli ambienti di lavori. Il testo è composto da un solo articolo e viene abbassata la soglia dei 50 dipendenti (non i 100 attualmente previsti) per le aziende pubbliche e private per redigere, con cadenza biennale, un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile. «Qualora, nei termini prescritti, le aziende non trasmettano il rapporto sulla situazione del personale, l'ispettorato territoriale del lavoro invita le aziende stesse a provvedere entro 60 giorni. In caso di inottemperanza, l'Ispettorato stesso applica una sanzione fino all'uno per cento del monte retributivo aziendale. In caso di reiterazione dell'inottemperanza, si applica la sospensione per un anno dei benefici contributivi e fiscali eventualmente goduti dall'azienda».

Il CNEL sottolinea che «ancora oggi, nel mercato del lavoro hanno luogo discriminazioni di genere che ostacolano la piena integrazione degli uomini e delle donne nella vita economica e sociale», si legge nella relazione tecnica. «Occorre una formulazione normativa che renda certo l'arco temporale di riferimento del rapporto, al fine di garantire un flusso di dati tracciati, nonché la comparazione e valutazione degli stessi».

I dati ISTAT riferiti a dicembre 2018 descrivono ancora in Italia una condizione della donna nel mercato del lavoro che «non soddisfa i requisiti delle pari opportunità: in un contesto di crescita debole, con un tasso di occupazione generale del 58,8% (6 punti al di sotto della media europea del 64,7%) e una quota di occupazione maschile pari al 68%, la quota femminile registra appena il 49,7%, collocando l’Italia penultima nella classifica dell’Unione Europea, con 10 punti di differenza rispetto alla media europea (59%). Il divario di genere è confermato dal differenziale
dei tassi di disoccupazione, 11,6% la quota femminile rispetto al 9,4% maschile, e soprattutto dalla rilevante distanza tra i tassi di inattività, il 43,8% delle donne rispetto al 24,7% degli uomini».

L’Italia resta fanalino di coda anche nella graduatoria mondiale elaborata dal World Economic Forum nel Global Gender Gap Report 2018, che vede il nostro Paese al 70° posto su una lista di 149 Paesi sviluppati, preceduto da Honduras e Montenegro e immediatamente seguito da Tanzania e Capo Verde; al primo posto l’Islanda, che ha percorso per l’85% (indice globale sul “gender gap”) il cammino di assorbimento del divario di genere, seguita da Norvegia, Svezia e Finlandia.

A determinare la bassa quota femminile nel campo del lavoro resta la difficoltà di conciliare i temi di vita e la professione. «Sono le lavoratrici-madre a caratterizzare per il 54,3% la disoccupazione femminile e che la quota di donne madri indotte ad abbandonato il lavoro per prendersi cura dei figli è pari al 27%, di gran lunga superiore alla
quota degli uomini nella stessa condizione, che è pari ad appena lo 0,5%. Rilevazioni dell’Ispettorato nazionale del lavoro registrano nel 2017, l’abbandono del lavoro da parte di 24.618 madri lavoratrici alla nascita del primo figlio, proprio per la difficoltà nel conciliare i tempi di lavoro con la cura del bambino. Nel 2017 l’EUROSTAT attribuiva all’Italia, rispetto agli altri Stati membri della UE, la più alta percentuale di coppie in cui solo l’uomo lavora (37,2%) e le donne risultano esclusivamente dedite alle attività domestiche e di cura».

Il divario retributivo - di stipendi e salari - tra uomin e donne nel corso della vita lavorativa si trasforma in  divario pensionistico di genere soprattutto per la minore durata media della vita lavorativa delle donne (24,5 anni contro i 39,5 degli uomini, con uno scarto che si aggira attorno al 38%, tra i più alti in Europa). Le distorsioni di genere che ne derivano comportano un differenziale medio fra le pensioni percepite dalle donne rispetto a quelle degli uomini pari al 33%, con effetti negativi anche sulle prestazioni assicurative di natura sostitutiva della retribuzione (ad esempio INAIL in caso di malattia).
 

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