Tre anni di unioni civili: cerimonie in aumento e le prime separazioni

Mercoledì 5 Giugno 2019 di Claudia Guasco
Tre anni di unioni civili: cerimonie in aumento e le prime separazioni

Gennaio 2017, otto mesi dopo il via libera alla legge Cirinnà. Il sindaco di Trieste si rifiuta di concedere la Sala dei Matrimoni per le unioni civili omosessuali. Il Tar gli dà torto e lui che fa? Nottetempo cambia il nome, trasformandola in Sala Tergeste e cancellando con un colpo di spugna qualsiasi riferimento alle nozze. Sono passati tre anni dall’approvazione della normativa sulle unioni civili, testo base per l’acquisizione dei diritti da parte della comunità lgtb. La legge dovrebbe essere ormai metabolizzata e invece il clima «è completamente cambiato», denuncia la senatrice del Pd Monica Cirinnà, promotrice e prima firmataria della legge. «Con questo governo oscurantista è aumentata l’omofobia e in un anno neanche il M5s ha aperto bocca sui diritti lgbti».

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PRIME SEPARAZIONI
Le storie di ordinaria discriminazione come quella di Trieste «sono tante e il cammino di equiparazione si è interrotto», afferma il segretario di Arcigay Gabriele Piazzoni. Nonostante le unioni aumentino. Secondo i dati dell’Istat, considerando sia quelle registrate in Italia sia le trascrizioni dall’estero, a gennaio 2018 erano 13.300 (0,02% della popolazione), nel 68,3% dei casi di sesso maschile. Sono più numerose al nord (56,8%) e al centro (31,5%), pochissime in Molise (3), Basilicata (6) e Calabria (24). Un’unione su quattro si è celebrata a Roma (845), 799 a Milano e 378 a Torino.

«Con la Cirinnà è stato compiuto un passo fondamentale, perché ha fatto uscire le coppie dall’invisibilità obbligando il nostro ordinamento e la società a riconoscerne l’esistenza. Migliaia di unioni civili celebrate hanno creato un cambiamento culturale nell’opinione pubblica», rileva Piazzoni. Fino a tre anni fa, spiega il segretario, erano del tutto ignorate dal nostro ordinamento e perciò anche da tutte le articolazioni dello Stato e del consesso civile. Scuola, luoghi di lavoro, servizi e attività commerciali.

«Oggi la nostra esistenza, che rivendichiamo da sempre a gran voce, è un fatto incontrovertibile, che nessun vento reazionario può cancellare», ribadisce Piazzoni. Ma la battaglia per ottenere la legge ha dato impulso anche un movimento contrario di uguale intensità, soprattutto dalle amministrazioni locali della Lega che si sono rifiutati di celebrare le unioni. «A seguito dell’approvazione della legge, si è registrato un aumento esponenziale di espressioni di odio contro le coppie gay e lgtb. È stata anche l’occasione, per una parte dalla politica, di attuare discriminazioni. Con i sindaci che relegano le cerimonie in sgabuzzini del municipio, concedendo giusto un paio d’ore solo il mercoledì mattina». Le prime donne a dire sì sono state Deborah ed Elena, a Bologna, il primato maschile spetta al sindaco di San Giorgio a Cremano che ha sposato il compagno. Dopo le unioni, arrivano anche le separazioni. A cominciare sono state due ragazze di Rimini, nel 2018, mentre Marco e Andrea, trentenni, hanno appena sciolto la loro unione a Torino. «Nessun dramma, stavamo insieme da dieci anni. È stata una separazione amichevole e rispettosa, l’unione civile ci ha fatto crescere». Perché estende anche alle coppie omosessuali gran parte dei diritti e dei doveri previsti dal matrimonio, dalle scelte più difficili in caso di sopraggiunta incapacità, alla successione.

MATRIMONI UGUALITARI
In ogni caso, sottolinea Piazzoni, «si tratta di un gradino intermedio, non siamo ancora al matrimonio ugualitario, unica istituzione per etero e omosessuali, in vigore in 25 Paesi del mondo» tra cui Francia, Germania e Spagna.
E lontana è anche la stepchild adoption: «Dove non si incontra la disponibilità di sindaci illuminati, per il riconoscimento dei figli le coppie dello stesso sesso devono intraprendere iter giudiziari sfiancanti e dispendiosi che sono la manifestazione concreta di una discriminazione». Su questo fronte «non solo nulla è migliorato, ma registriamo i tentativi ostinati dei rappresentanti di questo governo, in primis il ministro alla Famiglia, di infierire». Insomma, per i primi tre anni della Cirinnà «non ci possiamo concedere il lusso di spegnere le candeline, dobbiamo continuare a lottare», dice Sebastiano Secci, portavoce del Roma Pride». La senatrice Cirinnà lancia «un appello a tutti, compresi gli eterosessuali, affinché ci si batta per i diritti. Bisogna combattere e resistere. Un modo per farlo sono i Pride, sabato parteciperò a quello di Roma».

Ultimo aggiornamento: 16:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA