Da minorenne sparò al padre sulla nuca, condannato a 10 anni

Giovedì 25 Aprile 2019 di Marco Aldighieri
La vittima Enrico Boggian
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SELVAZZANO - Era il 24 marzo del 2017 quando a soli sedici anni, il campioncino di tennis di Selvazzano, ha sparato al padre Enrico Boggian sulla nuca uccidendolo. La giustizia minorile, in primo grado, lo ha condannato a dieci anni e otto mesi di reclusione. Il suo avvocato Ernesto De Toni, ha già presentato ricorso in Appello, nel tentativo di vedere ridotta la pena. Il ragazzo, oggi maggiorenne ma ancora dietro alle sbarre del carcere minorile di Treviso, sta seguendo un percorso di recupero e sembra impegnarsi negli studi. A differenza di due anni fa, quando andava molto male a scuola e pretendeva di guidare una moto Ktm 125 di cilindrata, senza avere mai conseguito il patentino perché bocciato per due volte all'esame.
 
IL DELITTO
Quella mattina del 24 marzo del 2017, era un venerdì, lo studente di 16 anni non è andato a scuola a causa di un mal di pancia. Intorno alle 11, dalla sua villetta di via Monte Santo a Selvazzano, si è diretto alla casa del nonno che dista a non più di 300 metri dalla sua. Qui nella camera da letto ha trafugato una carabina calibro 22 Beretta LR ed è rientrato nella sua abitazione, dove ha inserito il colpo in canna e ha nascosto l'arma nel bagno della taverna. Il ragazzo, molto bravo a tennis tanto da avere vinto diversi tornei, ha atteso l'arrivo del padre per pranzare insieme. Terminato il pasto, papà e figlio, sono scesi in taverna per alcuni minuti di relax e si sono seduti sul divano. Enrico Boggian ha acceso il televisore, mentre lo studente si è alzato ed è andato in bagno. Senza farsi notare dal genitore, ha afferrato la carabina, si è messo alle spalle del padre e ha premuto il grilletto. Il colpo, secco e forte, alle 13.45 è stato udito da una vicina di casa. Un quarto d'ora più tardi, intorno alle 14, invece di soccorrere il padre agonizzante sul divano con un foro di proiettile nella nuca, ha inforcato la bici del papà e si è diretto in un campo incolto a 200 metri dalla villetta, dove si è liberato del fucile a cui aveva rotto il calcio in legno. Venti minuti più tardi è rientrato a casa e solo dopo oltre 45 minuti ha chiamato i soccorsi. Ai carabinieri arrivati in via Monte Santo ha detto: «Mi sono spaventato».
LE INDAGINI
I militari del Nucleo investigativo non hanno mai creduto, fin dall'inizio, a una rapina in casa finita male, come voleva fare credere il figlio dell'imprenditore. Subito i sospetti si sono concentrati su di lui. Il Gip, Valeria Zanca del Tribunale dei minori di Venezia, non ha creduto a una sola parola del giovane. Il giudice aveva sottolineato come un'assenza di movente, porti a pensare a una reiterazione del reato da parte dello studente. Interrogato per due ore, il sedicenne davanti al Gip aveva dichiarato: «Papà era il mio migliore amico. Con lui non avevo nessun segreto e sapeva che andavo male a scuola». Ma il giudice non gli ha creduto. Agli occhi degli inquirenti il ragazzo è sembrato in alcuni momenti molto freddo e in altri troppo immaturo. Un giovane viziato. Nell'ultimo anno e mezzo aveva cambiato tre scuole (un liceo di Caselle di Selvazzano, il Don Bosco e infine il liceo sportivo) per il suo basso rendimento, ma i genitori gli hanno comunque regalato una moto Ktm 125. Due ruote che non poteva guidare, perchè è stato bocciato due volte all'esame del patentino. Lui quella moto voleva cavalcarla lo stesso e forse papà Enrico gli ha detto no. 
Marco Aldighieri
Ultimo aggiornamento: 12:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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