Velo anche alle bambine del centro islamico: «Nessuno le obbliga»

Domenica 31 Marzo 2019 di Mauro Favaro
Velo anche alle bambine del centro islamico: «Nessuno le obbliga»
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TREVISO - Bambine di nemmeno 14 anni con addosso il velo che copre praticamente tutto il corpo, lasciando scoperto solamente il volto. Sono quelle che frequentano il centro culturale islamico di viale Brigata Marche. La polemica esplosa sul luogo di preghiera è partita proprio da questo. Il centro alla periferia di Treviso è stato segnalato alla Lega islamica del Veneto perché secondo alcuni gli abiti della tradizione coranica sono imposti ai più piccoli da un imam integralista. Le bambine, insomma, sarebbero obbligate. Ma da viale Brigata Marche respingono tutte le accuse. «Non è assolutamente vero. Qui non imponiamo niente a nessuno. C'è la massima libertà: ognuno sceglie come vestirsi - mette in chiaro Mugumdar, referente del centro, chiamato a gestirlo in questo periodo perché il responsabile è impegnato tra Londra e il Bangladesh - le bambine mettono il velo solamente se lo desiderano. Altrimenti no». Possibile fare una scelta del genere a nemmeno 14 anni? Per Tanji  Bouchaib no. Il presidente della Lega islamica del Veneto, imam di origine marocchina, non ha dubbi: «Costringere le bambine a indossare abiti lunghi filo ai piedi, con la testa e il volto imbrigliato dai veli, è un'assurdità. Non è una pratica da buon musulmano». Dal centro, però, ripetono che si tratta di una libera scelta. «Chi ha qualche dubbio può venire a chiederlo direttamente alle bambine. Noi chiediamo ai piccoli come vogliono vestirsi. È una scelta libera. E non cambia nulla: perché quello che conta è ciò che sta dentro al cuore sottolinea Mugumdar non abbiamo paura perché non facciamo nulla di sbagliato. Il discorso è identico per quanto riguarda gli uomini. Possono indossare la tunica bianca lunga. Ma se qualcuno viene a pregare con i jeans nessuno fa una piega. Io stesso posso decidere se andare con la tunica o con i pantaloni. C'è la massima libertà». «Qui non abbiamo mai visto Tanji Bouchaib aggiunge come può parlare in questo modo di qualcosa che non conosce? Venga a vedere di persona». 
LA VISITAEffettivamente le porte del locale della vecchia palestra tra via Salsa e via Rota sono sempre aperte. In entrata è appeso un cartello che dice che l'ingresso è consigliato solo agli iscritti. Pare qualcosa di minaccioso. Ma deve essere semplicemente il frutto di una traduzione imperfetta. Perché è sufficiente suonare il campanello per essere accolti dall'imam. Tecnicamente non è una moschea, ma la sede dell'associazione di Al Khair, che ha preso in affitto l'immobile. Nella sostanza, però, le sale al primo piano della palazzina di viale Brigata Marche sono un luogo di preghiera musulmana. In quattro anni il centro è diventato un riferimento per la comunità del Bangladesh di Treviso e dintorni. Ieri mattina c'erano una trentina di piccoli. Per la preghiera del venerdì arrivano anche 150: uomini, bambini e bambine, fino alle prime mestruazioni. Non le donne. «Perché l'estensione delle stanze non consentirebbe di accogliere tutti dividendo i fedeli per sesso», specificano. Negli altri giorni della settimana si insegna la lingua e la cultura del Bangladesh. 
SEVERITÀEntrando non si ha l'impressione di essere in un posto dove vigono regole rigide e severe. C'è un'anticamera con alcune sedie e una serie di scarpiere. Sulle bacheche ci sono avvisi in arabo, bangla e italiano. Una volta che si sono tolti le scarpe, i fedeli entrano nella stanza della preghiera, coperta di tappeti. Bambini e bambine vengono divisi in due gruppi. Ma non tenuti a distanza. «Possono stare assieme senza problemi dice Mugumdar non ci sono atteggiamenti integralisti». Nel quartiere di Santa Maria del Rovere tutti sanno dell'esistenza del centro islamico. E non ci sono mai stati problemi di convivenza. «Neppure quando vengono in tanti per la preghiera del venerdì rivela Mauro Michielin, meccanico titolare dell'officina proprio accanto al centro parcheggiano senza creare confusione e si spostano in modo ordinato, anche se a volte attraversano la strada senza guardare troppo. Sappiamo che fanno qualcosa di simile al catechismo. Alcuni salutano. Altri no. Mantengono tutti un basso profilo». Il barbiere di via Ciardi la vede allo stesso modo. «Notiamo che passano musulmani vestiti con gli abiti della loro tradizione tira le fila Enrico Bianchin fino ad oggi, però, nessuno qui ha mai lamentato problemi particolari». 
Mauro Favaro 

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