Imprenditore s'impicca in azienda in crisi per la concorrenza di internet

Mercoledì 6 Marzo 2019 di Gabriele Pipia
Imprenditore s'impicca in azienda in crisi per la concorrenza di internet
25

PADOVA - Sul cancello dell'azienda è ancora appeso un cartello con una grande scritta: In vendita. Liberarsi di quel capannone, incassando una buona somma per poi spostarsi in una sede più piccola, era per Emanuele Vezù l'ultima possibilità per uscire dal tunnel della crisi economica e proseguire con la propria attività. Il suo piano era chiaro da mesi, ma il cinquantaseienne imprenditore padovano non ha fatto in tempo a completarlo. Il titolare dell'azienda Ital Service di Vigonza, da lui fondata 24 anni fa per vendere ricambi di elettrodomestici, ieri mattina ha scelto di farla finita impiccandosi in quello stesso capannone. Il corpo senza vita è stato trovato alle 8.30 dalla moglie assieme ad un dipendente, trevigiano di Castello di Codego. Secondo quanto diceva a mettere in crisi l'azienda è stata la concorrnza su internet.
 

MANI LEGATE
Emanuele, un figlio e una figlia entrambi studenti, viveva a Padova con la famiglia. Ieri mattina si è alzato come sempre alle sei e mezza. Ha fatto colazione, si è vestito, ha guardato per l'ultima volta la moglie Elena che stava ancora dormendo. Ha guidato per quattro chilometri e poi, una volta arrivato in quel capannone alle porte di Padova, si è ucciso con una fune legata ad uno scaffale. Erano legate anche le mani, probabilmente per evitare di desistere dal suo intento. 
IL MESSAGGIO
I carabinieri non hanno trovato nessun messaggio e la famiglia assicura che l'uomo non avesse mai dato alcuna avvisaglia. Solo le classiche lamentele di un imprenditore alle prese con un costante calo del fatturato. «Sono preoccupato per i conti dell'azienda - confidava agli amici -. Ormai se qualcuno vuol comprare un pezzo di ricambio, prima di venire da me va a cercarlo in internet». La concorrenza sempre più agguerrita del commercio elettronico, la difficoltà di pagare regolarmente tutti i fornitori, la paura di trovarsi alle prese con una liquidazione: erano i pensieri che tormentavano questo imprenditore cresciuto lavorando per altre aziende prima di fare il grande salto a metà anni Novanta decidendo di mettersi in proprio. 
IL DOLORE
«Mio marito era un gran lavoratore e uno splendido padre di famiglia - racconta Elena Grassetto, con gli occhi gonfi di lacrime -. Non aveva nulla di che vergognarsi. Viveva questa situazione come un fallimento personale, ma non aveva responsabilità. Se il mercato è cambiato, non era colpa sua». Lavorando per la parte amministrativa, ha sempre visto anche lei i conti. «Gli ultimi bilanci erano negativi, ma non avevamo debiti con le banche - spiega -. Avevamo messo in vendita il capannone proprio per spostarci in una sede più piccola e provare ad andare avanti. Una soluzione avremmo potuto trovarla. E se anche fossimo stati costretti al fallimento, non sarebbe stato comunque un dramma. Lui aveva già dei contatti per poter andare a fare il dirigente o il rappresentante in altre aziende dello stesso settore. Nella vita si può sempre trovare un'altra strada». 
Gabriele Pipia
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimo aggiornamento: 13:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci