Nuovo caso Diciotti/Carte bollate per digerire la sconfitta in Parlamento

Venerdì 22 Febbraio 2019 di Marco Gervasoni
Uno dei film chiave della commedia all’italiana, genere che ha fatto conoscere gli italiani a loro stessi più di ogni altro, è “Un giorno di pretura” di Steno, con Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Walter Chiari. Più di altri film o di molti trattati chiarisce il rapporto che noi italiani intratteniamo con la giustizia: una mascherata, un insieme di lacci incomprensibili, da temere quando sono rivolti contro di noi, ma da sfruttare ai nostri scopi quando l’occasione si presenta propizia. 

E da commedia all’italiana, o perlomeno da farsa, è la notizia del ricorso al tribunale civile di Roma di alcuni immigrati che si trovavano sulla nave “Diciotti” e che ora chiedono i danni a Matteo Salvini, per una cifra oscillante tra i 40 mila e i 70 mila euro. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere, ma forse riso e pianto non riusciamo mai a separarli veramente, nelle nostre vicende politiche. Nel caso specifico, questa notizia rivela come dietro e anche davanti ai migranti vi siano organizzazioni danarose, Ong ma non solo, disposte a finanziare avvocati pronti a trovare cavilli buoni a mettere in difficoltà lo Stato.
 
Nel Paese dei Paglietta, di Cocò all’università di Napoli, come lamentava più di un secolo fa Gaetano Salvemini, siamo ancora quello con il numero più alto di legali al mondo.

Che inoltre, nel caso del ricorso degli immigrati, agiranno per fare del “bene” e per di più contro Salvini, che di questi tempi è sempre un lasciapassare mediatico buono per ogni ocasione. La vicenda in sé è piccola cosa e ovviamente si sgonfierà perché molto probabilmente scatterà nei confronti di Salvini l’immunità. 
Ma ci restituisce due lezioni. La prima è che con questa mossa l’opposizione, intesa sia come minoranza parlamentare sia come fetta di società civile ostile al governo, intende persistere nella via giudiziaria contro l’idea che non di legittimo uso dei poteri ministeriali si sia trattato da di prevaricazione. Sconfitto insomma l’assalto nella Giunta del Senato, si cerca ora una rivincita, un secondo round. A cosa infatti è finalizzata la denuncia se non a dimostrare che Salvini, e con lui tutto il governo, hanno commesso un delitto, hanno violato la legge? Ma alla fine la scorciatoia giudiziaria, oltre che arrivare raramente all’obiettivo, finisce per diffondere l’idea che ci si oppone a un governo perché corrotto e in malaffare, e non perché sostenga politiche sbagliate. 

Non dobbiamo allora sorprenderci se anni di tentativi di assalto al potere tramite via giudiziaria abbiano prodotto i 5 Stelle, i migliori e più coerenti eredi della sinistra girotondina e giustizialista dei tempi del berlusconismo. 
La seconda lezione che traiamo dal ricorso dei clandestini della “Diciotti” è che ormai, non solo nella politica, ma in tutti i rami della attività, da quella imprenditoriale a quella scolastica e persino a quella ludica, è il trionfo di ricorsi, di cause, di carte bollate. A cui si guarda anche quando si è certi di avere torto: tanto la procedura durerà anni e nel frattempo, come diceva Rino Formica, si getta materia poco nobile nel ventilatore (l’ex ministro socialista utilizzava per la verità un altro termine). 

E però così si intasano le procure di cause, si rallenta il lavoro della giustizia, che continua ad apparire, al cittadino comune, come appariva agli occhi di Pinocchio, il nostro grande romanzo nazionale: un’attività in cui l’idea di «giusto» è assente, e tutto è affidato ai rapporti di forza, alla capacità del denaro, alle influenze e alle pressioni. 
Ne verremo mai fuori? Chi lo sa. Certo, se le forze politiche e sociali continueranno a usare la via giudiziaria per cercare di abbattere l’avversario politico, da questa palude difficilmente usciremo. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA