Concussione, la minaccia del carabiniere: ​«Se non mi paghi finisci in carcere»

Martedì 25 Settembre 2018 di Alberto Beltrame e Lina Paronetto
Concussione, la minaccia del carabiniere: «Se non mi paghi finisci in carcere»
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CASTELFRANCO (TREVISO) - Gli hanno messo sotto il naso decine di foto e lui, quando l'ha riconosciuto, ha subito alzato gli occhi. «Sei sicuro?», gli hanno chiesto e richiesto più volte gli investigatori. «Sì, è proprio lui il carabiniere che ha minacciato di farmi arrestare se non gli davo i soldi» ha risposto dopo aver posato il dito sulla fototessera. Era lo scorso giugno e la foto ritraeva il brigadiere Giuseppe Alù, 57enne di origini catanesi in forza da diversi anni alla compagnia dei carabinieri di Castelfranco. Il militare, indagato per concussione assieme al collega con cui faceva coppia (mentre le posizioni di altri due carabinieri, comunque iscritti nel registro degli indagati per lo stesso reato, sarebbero meno compromettenti), da sabato scorso è agli arresti domiciliari. «Robuste», così le definiscono in Procura, le prove a suo carico raccolte dai suoi  stessi colleghi della compagnia castellana e del nucleo investigativo di Treviso, che hanno avviato gli accertamenti la scorsa primavera dopo aver ricevuto una segnalazione interna e aver sentito le prime due vittime. Il brigadiere Alù, che verrà sentito mercoledì dal gip durante l'udienza di garanzia, avrebbe taglieggiato decine e decine di imprenditori cinesi della Castellana (titolari di laboratori tessili, di negozi e altri tipi di attività), approfittando del potere della divisa e pretendendo somme dai 100 agli 800 euro per volta. Circa 25, ma potrebbero essere anche di più, gli episodi contestati in cui avrebbe chiesto il pizzo concentrando la sua azione (i primi casi risalirebbero alla primavera del 2017) nel quadrilatero compreso tra Castelfranco, Riese, Loria e Fonte. 
LA TESTIMONIANZATra le sue vittime c'è anche Marco, così si fa chiamare da fornitori e clienti da quando è arrivato, 13 anni fa, dalla Cina, e ha aperto un laboratorio tessile a Fonte, in via Monsignor Berti. Qui i suoi dieci dipendenti confezionano giacche e cappotti. «È questo il Made in Italy» ci scherza su uno dei suoi fornitori, un italiano con cui Marco collabora ormai da tempo. Il brigadiere ha bussato alla porta dell'imprenditore cinese di Fonte nell'aprile del 2017. «Non lo avevo mai visto prima - racconta Marco -, e mi ha subito minacciato: ripeteva che se non avessi pagato mi avrebbe fatto finire in galera. È entrato nel laboratorio, ha dato un occhiata in giro e quando è uscito si è messo a stilare un verbale, aggiungendo che se non gli davo i soldi subito avrei dovuto chiudere l'attività. Per farmi capire meglio, visto che non parlo bene l'italiano, ha fatto segno che solo così avrebbe stracciato subito il verbale, e così in effetti ha fatto». L'imprenditore, a quel punto, si è visto costretto ad aprire il portafogli. «Voleva 800 euro, ma non li avevo. Ho dovuto mandare mia moglie a casa a cercarli per raccogliere tutta la somma». Non era la prima volta che il titolare del laboratorio si trovava di fronte agli uomini in divisa. «In passato, com'è normale, la mia attività è stata oggetto di altri controlli. Ma in quelle circostanze c'erano sempre almeno una decina di persone: quella volta invece il carabiniere era da solo». Marco sostiene che di irregolare, nella sua attività, non c'era nulla: avrebbe pagato solo perché minacciato. «Cos'altro avrei potuto fare? - continua -. Ho pagato perché avevo paura: mi trovavo di fronte a un carabiniere, un uomo con una pistola, che mi ha detto che sarei andato in carcere. Perché non ho denunciato? Non sapevo di chi fidarmi e avevo paura che il militare tornasse al laboratorio pretendendo altri soldi. Per fortuna non l'ho più rivisto. È stato l'unico episodio. Poi lo scorso giugno sono stato chiamato dai carabinieri di Treviso, mi hanno fatto vedere un album con decine di persone, e lì l'ho riconosciuto in foto. Non so nemmeno come si chiami, l'ho letto oggi sui giornali».
IL PROCURATORE«Mele marce, purtroppo, possono essercene in qualunque paniere».

Ma la fiducia nelle forze dell'ordine non viene intaccata. Un concetto espresso chiaro e tondo dal procuratore della Repubblica di Treviso Michele Dalla Costa. «Non posso svelare particolari investigativi commenta il capo della Procura . Ma crediamo di avere elementi validi nei confronti della persona destinataria della misura cautelare». «Noi, tuttavia, siamo abbastanza tranquilli ribadisce Dalla Costa . Avevamo le carte in regola per chiedere e ottenere quello che abbiamo chiesto e ottenuto». «L'impatto di casi di questo genere è sempre particolarmente negativo aggiunge Dalla Costa - anche per noi che lavoriamo con le forze dell'ordine. Ma le istituzioni restano salde: con noi hanno collaborato proprio i carabinieri, la stessa Arma di appartenenza dell'indagato, quindi non c'è motivo di preoccuparsi dello stato di salute della polizia giudiziaria e dei carabinieri nella fattispecie». 

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