«Perseguitata ma non troppo, la donna ebrea restituisca il vitalizio»

Giovedì 1 Marzo 2018 di Angela Pederiva
«Perseguitata ma non troppo, la donna ebrea restituisca il vitalizio»
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VENEZIA - Dalla promulgazione delle leggi razziali sono trascorsi 80 anni. Tanti quanti l'età della signora Laura, che difatti in quel tragico 1938 aveva pochi mesi, quando suo papà Giorgio perse il lavoro di impiegato alla direzione delle Assicurazioni Generali di Venezia e fu costretto insieme ai suoi cari a lasciare la città, al punto da poter tornare in Veneto solo dopo un'odissea terminata nel 1945: erano ebrei. Difatti a quella bimba, diventata nel frattempo anziana, era stato riconosciuto il diritto a percepire l'assegno di benemerenza destinato alle vittime delle persecuzioni. Ma adesso la Corte dei Conti, attraverso una sentenza della terza sezione giurisdizionale centrale d'appello, ha deciso che il vitalizio deve esserle revocato perché in fondo lei non ha patito nulla di speciale: «La quasi totalità del popolo ebraico, infatti, visse in condizioni di semi clandestinità in quel periodo». E quindi, par di capire, mica lo Stato può chiedere scusa a tutte le vittime dell'infamia...

Ma ripartiamo da quel terribile settembre del 1938, ripercorrendo i fatti ricostruiti dai giudici contabili. Dopo l'emanazione delle prime disposizioni contro gli ebrei, Giorgio, la moglie Bruna e la figlioletta Laura furono obbligati a trasferirsi a Padova, dove trovarono sistemazione nell'alloggio della nonna paterna Bice. Nell'ottobre del 1943, però, scattò l'occupazione nazista. La famiglia decise allora di scappare in treno verso Sud e, scrivono i magistrati, «dopo un angoscioso viaggio con una prima tappa a Ferrara per la ricerca dei nonni materni, dimostratasi peraltro vana poiché già fuggiti verso Roma», arrivò a Firenze, dove dimorò per alcune settimane. Cioè fino a quando l'amico Raffaele avvertì i veneziani che la loro presenza era stata segnalata alla Questura, tanto da indurli a ricominciare la disperata corsa verso la Capitale: «Costretti a nascondersi per tutto il periodo seguente alloggiando in una piccola pensione, con cibo scarso e nel terrore di essere coinvolti in una delle continue retate fatte dai tedeschi gli zii ed il cugino il 16 ottobre del 1943 erano stati deportati da una pattuglia di SS tedesche furono aiutati da coraggiosi amici cattolici che procurarono loro documenti falsi».
Nonostante la liberazione di Roma avvenuta il 4 giugno 1944, per lunghi mesi i fuggiaschi non ebbero notizie dei parenti rimasti al Nord e solo nel giugno del 1945 riuscirono a far ritorno a Padova, «dove la casa della nonna che li aveva ospitati era stata saccheggiata dai fascisti che avevano asportato quasi tutti i mobili di arredo, mentre ben undici persone del gruppo familiare erano state deportate nei campi di sterminio nazisti, senza più dare notizia di sé».

Ecco, per la signora Laura ce n'era abbastanza nel 2008 per presentare la richiesta del vitalizio (di importo pari ad una pensione sociale e previsto da due leggi del 1955 e del 1980) e nel 2012 per impugnare il diniego opposto nel 2010 dall'apposita Commissione per le provvidenze ai perseguitati politici antifascisti o razziali (secondo cui non risultava che la bambina avesse subìto atti persecutori «neanche sotto il profilo della violenza morale»). Così nel 2014 la Corte dei Conti , sezione giurisdizionale per il Veneto, aveva accolto il ricorso della donna: «Ad integrare gli estremi della violenza morale è sufficiente ricordare lo stato di prostrazione psico-fisica in cui ha versato la ricorrente, allora fanciulla, in quanto ingiustamente privata della serenità e dell'equilibrio indispensabili in un periodo tanto delicato quale l'infanzia, costretta a nascondersi, nel terrore di essere catturata e subire ancor più gravi atti di violenza (deportazione), e a vivere in condizioni di costante pericolo ed estremamente disagiate, trovando sistemazioni di fortuna e versando nella più completa incertezza della sorte che il futuro le avrebbe riservato».

LA BEFFA - Queste argomentazioni sono però state ribaltate dai giudici di appello, a cui si era rivolto il ministero dell'Economia, malgrado le testimonianze acquisite con atto pubblico dal notaio Maria Luisa Semi. Si legge nelle motivazioni: «Seppure la signora ebbe a subire atti di persecuzione a causa della sua appartenenza alla razza (sic) ebraica, tuttavia, il Collegio non può fare a meno di rilevare che manca la prova dello specifico atto di persecuzione, soggettivamente caratterizzato, idoneo a legittimare l'erogazione del beneficio». Laura non fu sottoposta «a veri e propri atti limitativi della libertà personale (quali l'internamento in campi di concentramento, la detenzione in carcere, il confino di polizia, le condanne penali e quant'altro)». No, per fortuna no, a quella piccina venne risparmiato almeno quell'orrore. Ma a questa 80enne, nell'ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali con tutta la retorica che lo accompagna, non sarà risparmiata questa beffa: dover restituire dieci anni di assegno vitalizio di benemerenza ad uno Stato che reputa la sua sofferenza di bambina non abbastanza degna di essere onorata.
 
Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 14:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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