La Sardegna che parla veneto: viaggio tra i famigliari dei discendenti

Giovedì 25 Gennaio 2018 di Alessandro De Bon
La Sardegna che parla veneto: viaggio tra i famigliari dei discendenti
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LA STORIA
Un tetto antineve sul golfo di Oristano, vacche, tante vacche, nell'isola ovina e poi i Michele Pregnolato di Taglio di Po, le Edilia Bergamin di Castelfranco Veneto e i Giovanni Schiavon di Caorle. Tre di oltre duecento famiglie venete, tutte lì, in mezzo al Mediterraneo, con il continente alle spalle e l'America in faccia. La loro di America si è fermata lì, tra il nulla e la malaria. Quel nulla che grazie alle loro braccia, appesantite dalla nostalgia, diventò prima Villaggio Mussolini (29 ottobre 1928), poi città, Mussolinia (30 dicembre 1930), poi luogo senza più fascio, Arborea (8 marzo del '44). La città esempio del cooperativismo che funziona, la città sul golfo di Oristano che parla vicentino e trevigiano.

IN PRINCIPIO FU DOLCETTA
«L'ingegner Dolcetta sosteneva che i sardi erano individualisti, i veneti invece propensi al fare comunità», ci racconta Manuela Pintus, sindaca di Arborea. «Io ho il pedigree sardo al 100% - precisa - mio marito invece al 100% veneto». Già, perché Arborea è la veneta di Sardegna. Cugina di Sabaudia, Latina (fu Littoria), Alberese, Albinia; figlia delle bonifiche, figlia del Ventennio, figlia di tutte quelle famiglie tolte alla tensione sociale della pianura padana degli anni '20 e spedite lì, che spazio ce n'era e lavoro da fare ancor di più. «Volevano modernizzare la Sardegna - ci spiega Alberto Medda Costella, nonna di Gorgo al Monticano, storico e consigliere comunale di Arborea che alla storia della città e dell'immigrazione sarda sta dedicando studi meravigliosi - e volevano farlo costruendo una serie di laghi in cui immagazzinare le rare piogge sarde. Nacquero così la diga sul Tirso e il lago Omodeo, da cui l'imbrigliamento del fiume che a valle permise la bonifica. Poi, tra regime e sollevamento dei notabili locali, di tante possibili Arborea se ne fece soltanto una, la nostra: Mussolinia». A pensare alla bonifica però non fu l'Opera Nazionale Combattenti, leggi Agro Pontino, ma una società privata, la neonata Società Bonifiche Sarde, con a capo quell'ingegner Giulio Dolcetta di Castelfranco che si fidava solo della cooperazione veneta. Veneto il presidente, veneti i mezzadri, veneti buona parte dei tecnici. Entrando ad Arborea solo le palme suggeriscono che non si è in un borgo vicentino.

IL POLESINE ISOLANO
La prima ondata fu rodigina, nell'ottobre del 1928. Cento braccianti del Polesine spediti in mezzo al Mar di Sardegna: chi aveva braccia poteva rimanere, chiamare la famiglia e ricevere un podere, gli altri tornavano nel continente. Luigi Bergamin di Porto Tolle, podere 84, 24 ettari, strada n° 16. Mosè Tamburin di Bottrighe, podere 62, 24 ettari, strada n° 16 ovest. Leonardo Bovolenta di Corbola, podere 52, 12 ettari, strada n° 18. E avanti. Della famiglia Sargo migrarono in Sardegna in un'unica infornata tre generazioni, un bastimento carico di 24 persone.


 
 
Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 10:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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