Caso Yara, il test del Dna combacia al 99,9% ma ombre su testimoni e tabulati

Sabato 2 Luglio 2016 di Claudia Guasco
Caso Yara, il test del Dna combacia al 99,9% ma ombre su testimoni e tabulati

dal nostro inviato
BERGAMO Diario di Yara Gambirasio, pagina del 25 novembre 2010: «Trovo almeno otto cose che cambieranno la nostra vita nel corso del tempo». Ma di tempo, la tredicenne non ne ha avuto. Il 26 novembre a scuola c'era l'interrogazione di musica, la ricerca di arte su Leonardo da Vinci segnata con la raccomandazione «ps. occhio che potrebbe int. o fare verifica». Dopo poche ore Yara è morta, abbandonata agonizzante nel campo di Chignolo d'Isola.
Ci sono voluti tre mesi di ricerche per trovare il suo corpo e sei anni per arrivare alla verità, per mettere insieme i pezzi di un mosaico che, nonostante gli sforzi investigativi, ha ancora molte zone d'ombra. Rievoca la pm Letizia Ruggeri: «Ci spaccammo la testa per cercare di capire le ragioni della scomparsa. Ipotizzammo di tutto, dall'allontanamento volontario, al rapimento, allo scambio di persona. Scandagliammo il vissuto di Yara. Era una ragazza normalissima, senza segreti». Non riuscire a trovare il suo assassino, ha confidato una volta, «non mi fa dormire la notte».

118MILA UTENZE
Così la Procura di Bergamo si è avventurata in un'indagine unica al mondo: ha acquisito i tabulati di oltre 118 mila utenze telefoniche, ha prelevato e analizzato più di 25 mila profili genetici, ha riesumato la salma dell'autista di Gorno Giuseppe Guerinoni, padre naturale del carpentiere, ha rintracciata la madre (Ester Arzuffi) frugando nella memoria del paese in cui ha abitato. Ma ad eccezione del dna di Massimo Bossetti - che combacia al 99,99999987% con quello di Ignoto 1 isolato sui vestiti della ragazzina - l'accusa si è sempre mossa sul terreno scivoloso degli indizi.
A puntare il dito contro il carpentiere ci sono le fibre tessili sul corpo di Yara, compatibili con il tessuto dei sedili dell'Iveco Daily, le microsfere di metallo usate nell'edilizia trovate sotto le sue scarpe e la calcina nei polmoni. Per contro, non è emerso né prima, né durante il processo un movente chiaro: la parte civile ha ipotizzato l'aggressione a sfondo sessuale, la pm è stata più prudente. Manca l'arma del delitto, non si sa come Yara sia stata portata via dalla palestra. Con la forza? Con l'inganno? O forse ha solo accettato un passaggio. E ancora: Bossetti e Yara si conoscevano? Il muratore giura: «Mai vista in vita mia». Però c'è una signora, Alma Azzolini, che davanti ai giudici ha riconosciuto il manovale come l'uomo che, una mattina di agosto 2010, aspettava una ragazzina nel parcheggio del cimitero. Lei aveva l'apparecchio ai denti, lunghi capelli mossi e quando alla testimone viene mostrata una serie di foto di Yara dice sicura: «Sì, è lei». Questo ricordo però riemerge a distanza di anni, troppi secondo la difesa per ritenerlo attendibile.
 
CELLE E CALCINA
E non incastrano il manovale nemmeno i tabulati telefonici. Bossetti e Yara, infatti, agganciano la stessa cella ma a un'ora di distanza e non contemporaneamente, circostanza singolare se lui ha aspettato la sua vittima che usciva dalla palestra. Non solo: il cellulare del muratore non ha mai agganciato la cella di Chignolo d'Isola, luogo in cui è stato ritrovato il corpo di Yara. Poi c'è la polvere di calce trovata nei bronchi della ragazza, altro elemento che per la pm Letizia Ruggeri mira dritto a Bossetti. Eppure anche il padre della ragazzina lavora nel campo dell'edilizia.
Per la difesa sono tante le zone d'ombra e i dubbi da colmare, per la Procura non ci sono equivoci. Il dna, afferma la pm, «è stato il nostro faro. Abbiamo cercato e abbiamo trovato lui, Massimo Bossetti: non un pastore abruzzese, un pescatore siciliano, un extracomunitario, ma un muratore bergamasco della zona. Come ci aspettavamo». I difensori contestano l'incompatibilità del dna mitocondriale, ma per gli esperti della Procura il dna nucleare è la firma insequivocabile di Bossetti sul corpo di Yara. «Ci vorrebbero 330 milioni di miliardi di mondi popolati come il nostro da sette miliardi di persone per avere un altro Massimo Bossetti», sintetizza il genetista Carlo Previderè. Praticamente impossibile.