"Magistrati-l'ultracasta", privilegi e poteri
nel libro di Stefano Livadiotti

Domenica 14 Giugno 2009
"Magistrati-l'ultracasta", privilegi e poteri nel libro di Stefano Livadiotti
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ROMA (14 giugno) - uscito il nuovo libro di Stefano Livadiotti “Magistrati - l’ultracasta” (Grandi PasSaggi Bompiani, 259 pagine, 17 euro). un’indagine sulla categoria dei giudici e dei pubblici ministeri, che l’Autore definisce ”la madre di tutte le caste”: 9.116 uomini che controllano l’Italia con gli scandalosi meccanismi di carriera, stipendi e pensioni d’oro, i ricchi incarichi extragiudiziari, l’incredibile monte-ferie, i benefit. Pubblichiamo una parte dell’introduzione e del capitolo intitolato ”Gli impuniti”.



di Stefano Livadiotti

Secondo le rilevazioni per il 2008 di Eurobarometro, il 31% degli italiani ha fiducia nel sistema giudiziario nazionale (contro l’83% dei danesi, il 55% degli spagnoli e il 49% degli inglesi). È un dato che si colloca 15 punti al di sotto della media dell’Unione europea, pari al 46%. E che rischia di scendere ancora: un sondaggio elaborato di nuovo dall’Ispo, e pubblicato sul Corriere della Sera del 21 dicembre 2008, dice che un italiano su tre ammette di aver perso ulteriormente fiducia nella magistratura. Una débacle che poco più di un mese dopo, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009, lo stesso presidente della Suprema corte di cassazione non ha potuto ignorare: «Proprio perché non deve trattarsi di un potere autoreferenziale, la magistratura italiana non può ignorare tra i molteplici effetti esterni del suo operato il forte calo di fiducia non solo internazionale, ma ora anche interno nei suoi confronti».



L’auspicio di tutti è, appunto, che non lo ignori. Che consideri suonata la campanella dell’ultimo giro e si dia una mossa, riformandosi dall’interno. Prima che lo faccia qualcun altro, magari con intenti poco nobili. Il Paese ha bisogno di tutto meno che di una magistratura delegittimata e, per ciò stesso, alla fine, asservita.



(...) I numeri parlano chiaro. Quelli raccolti da Daniela Cavallini, ricercatrice in ordinamento giudiziario nell’agguerrito team bolognese di Di Federico, si riferiscono al periodo 1999-2006. E parlano di 1.004 procedimenti disciplinari. 812, pari all’80,9%, sono finiti a tarallucci e vino: con l’assoluzione o il proscioglimento. 126 con l’ammonizione, ossia un buffetto sulla guancia del magistrato. 38 con la censura, che equivale a una lavata di testa. Solo 22 con la perdita di anzianità (che si traduce in un rallentamento della carriera). Appena 2 con la rimozione e 4 con la destituzione (risultati in linea con quelli di un’altra ricerca della stessa autrice, limitata ai procedimenti per ritardi tra il 1995 e il 2002: 251 alla sbarra e 55 ritenuti responsabili, con una sola condanna alle sanzioni più gravi). Senza considerare che uno stesso giudice o Pm può essere stato incolpato più volte, vuol dire che una toga ha 2,1 possibilità su 100 di incappare in una condanna. E anche che negli otto anni oggetto di studio della Cavallini a rimetterci la poltrona è stato solo lo 0,065% dei magistrati (...)



Il matto. L’inconsapevole. E l’ipnotizzatore. La storia del magistrato spiritista uscito di senno. Che, siccome nessuno lo cacciava, dopo dieci anni s’è licenziato da solo. Quella del pubblico ministero assolto perché non sapeva ciò che andava dicendo. E quella del procuratore che per venire a capo delle indagini faceva interrogare un testimone in trance. Ed è stato solo ammonito.



«Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana e al suo capo, di osservare lealmente le leggi dello Stato, e di adempire con coscienza i doveri inerenti al mio ufficio». È la formula di rito che tutti i magistrati ordinari pronunciano al termine del tirocinio. Poi, però, se ne dimenticano quasi subito. Almeno a giudicare dalla banca dati della sezione disciplinare. Che, a saper dove mettere le mani, è una vera miniera d’oro. Dentro c’è di tutto. Una via di mezzo tra uno schiocchezzaio d’autore e un campionario di miserie umane, quando non di vere e proprie malefatte.



C’è, per esempio, la storia, che risale agli anni Settanta, del magistrato uscito di senno. «Dava in escandescenze verbali nei riguardi degli avvocati, manifestando così segni evidenti di alterazione delle facoltà mentali». Dichiarava, testuale: «Il santo ha detto che oggi vi sono schiaffoni per tutti». Poi, «si alzava stiracchiando le braccia e dichiarava che l’udienza era interrotta, avendo egli bisogno di riposarsi». E ancora: entrava nell’ufficio del suo capo esclamando: «A noi le femmine belle e schiaffoni per tutti», e avanzava «proposte oscene a una signora per bene». Le indagini rivelarono che frequentava una libreria specializzata in testi di magia nera, spiritismo, cartomanzia, parapsicologia e occultismo, dove teneva pubblicamente «discorsi incoerenti, attirando l’attenzione dei presenti, i quali, lontani da ogni senso morale, si prendevano gioco di lui». Non è dato sapere cosa gli avesse riservato la vita. Quel che è certo, il pover’uomo era matto come un cavallo matto. Pericoloso per sé e, soprattutto, per gli altri. Da tenere, comunque, ben alla larga dagli uffici di un tribunale. Tanto che perfino la sezione disciplinare del Csm s’era infine convinta della necessità di ricorrere alla sua dispensa. Ebbene, il magistrato in questione ha cessato di far parte dell’ordine giudiziario solo nel 1980. E non perché, sia pure con un ritardo di dieci-anni-dieci, fosse finalmente arrivata la non certo complessa sentenza. Molto più semplicemente, perché, in base a chissà cosa gli frullava nel cervello, aveva deciso lui di dimettersi.


Ultimo aggiornamento: 16:23

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