Schianto mortale. «Prove ignorate o scomparse: alla guida non c'era Mattia»

Venerdì 22 Novembre 2019 di Gabriele Pipia
RIESE PIO X. Schianto mortale. «Prove ignorate o scomparse: alla guida non c'era Mattia»
2
RIESE PIO X (TREVISO) - Abitavano nella stessa strada, si conoscevano fin da bambini e quel maledetto martedì sera stavano andando assieme a una grande festa. Mattia Tindaci, Nicola De Leo e il fratello Vittorio, tre brillanti amici della Padova bene, persero la vita in un terribile incidente stradale che sconvolse l'intera città. Quattordici anni dopo il caso è ancora aperto. Le due famiglie, che la notte del 5 aprile 2005 si trovarono abbracciate a piangere sullo stesso asfalto, hanno interrotto ogni rapporto. I genitori di Mattia non si danno pace e continuano a porsi una martellante domanda: chi era davvero al volante della Ford Focus che si accartocciò fuori strada nel comune di Riese Pio X? Secondo i giudici della Corte d'Appello di Venezia alla guida c'era proprio Mattia Tindaci, in possesso del foglio rosa, ma i suoi genitori scuotono la testa. «Al volante non c'era lui, ne siamo certi. Alcune prove sono state ignorate e altre sono scomparse. Ma noi vogliamo solo conoscere la verità» sospirano dopo aver  presentato richiesta di revoca della sentenza emessa lo scorso aprile. 
LE VITTIMEErano passati da pochi minuti le undici di sera. In quell'auto che iniziò a zigzagare prima di schiantarsi c'erano cinque giovani. Persero la vita il diciottenne Mattia Tindaci e i fratelli De Leo, 17 e 18 anni. Sopravvissuti, gravemente feriti, due amici: Francesca Volpe e Alessandro Faltinelli. Le loro famiglie sono molto note a Padova e il caso all'epoca toccò profondamente tutti. Tindaci era figlio dei titolari di un pregiato negozio di abbigliamento e accessori in via Dante. Molto conosciuta anche la famiglia De Leo: il padre Diego è uno psichiatra di fama internazionale, grande esperto in tema di suicidi, trasferitosi con la moglie in Australia per dirigere un importante istituto. Molto nota anche la famiglia di Francesca Volpe, all'epoca ventiduenne: il padre Antonio è un noto medico padovano, la moglie Marta Paccagnella è un affermato magistrato attualmente gip al Tribunale di Venezia. 
LO SFOGOIl processo penale si è chiuso con il patteggiamento di Francesca Volpe, per aver consentito di guidare a Mattia Tindaci o in alternativa a Nicola De Leo, come dicono le carte processuali. Il processo civile per i risarcimenti è invece ancora in corso. I genitori di Mattia, Giorgio Tindaci e Lorenza Mazzotti, assistiti dai legali Vieri e Francesca Tolomei, sono un fiume in piena. «A 14 anni dalla morte di nostro figlio Mattia -dichiarano- il processo di appello non ha purtroppo fatto luce sui molti punti oscuri da noi sollevati, confermando sbrigativamente quanto stabilito in primo grado. Che fine hanno fatto le foto del guidatore scattate quella notte dalla polizia stradale? Perché non è stata considerata la perizia sul Dna che dimostra come il sangue sulla cintura di sicurezza del guidatore non fosse quello di Mattia? Perché i primi soccorritori e i testimoni, in tutti questi anni, non sono mai stati interrogati? Siamo certi che alla guida di quell'auto non ci fosse nostro figlio, perché tutte le prove indicano il contrario». 
IL GIALLOC'è poi il mistero della «sparizione delle foto scattate quella notte al guidatore dell'auto». La famiglia Tindaci insiste: «Le immagini erano in un cd che ci hanno detto essere esploso. Erano state copiate in un hard disk di cui si sono perse le tracce. Erano state stampate e inserite nel fascicolo conservato dalla Polizia Stradale, ma anche queste copie sono scomparse. Un funzionario di polizia ci ha detto che sono state distrutte per liberare spazio in un armadio. Possiamo da genitori accettare tutto questo?». No, non vogliono accettarlo. E ricorreranno anche in Cassazione. 
Gabriele Pipia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci