Chi vive nelle quindici case fantasma di Moè di Laste si appella al ministro Federico D’Incà, rivendicando un riconoscimento ufficiale. Sì perché dopo la distruzione di mezzo paese dalle fiamme del violento rogo che scoppiò nell’agosto del 1983 e dopo la successiva ricostruzione, le abitazioni in questione non sono mai state “denunciate” al catasto. Passaggio fondamentale, questo, che avrebbe dovuto seguire l’esproprio dei terreni. Ad oggi, quindi, non appartengono a nessuno dei propri abitanti che in questi anni sono stati di conseguenza “esonerati” dal pagamento di affitti, tasse e assicurazioni (mentre si fa fronte alle utenze). La “pratica” è all’esame dello studio legale Gaz di Feltre, specializzato in questioni legate al diritto amministrativo. Gli abitanti, soprattutto le nuove generazioni, vogliono risposte.
LA VICENDA
Era il 22 agosto 1983 quando, in pieno giorno, un furioso incendio scoppiò al centro del villaggio distruggendo numerose abitazioni. I residenti vennero sfollati per anni, in attesa della riedificazione che avvenne per mano dello Stato su proposta dell’allora senatore rocchesano Dino Riva. Furono così realizzate quindici unità immobiliari - assegnate poi nel 1990 - inserite in sette distinti edifici (4 stabili da 2 abitazioni ciascuno, 2 da 3 e 1 individuale) che hanno il peccato originale di non aver rispettato i confini delle proprietà precedentemente esistenti. A mancare, semplificando, furono gli espropri e il nuovo accatastamento. Di fatto, quindi, la pubblica amministrazione non è mai diventata proprietaria dei terreni su cui ha costruito e al contempo gli assegnatari dei locali non coincidono con i proprietari dei terreni. Una situazione assolutamente confusa nei confronti della quale, a distanza di 36 anni, gli abitanti chiedono una risoluzione definitiva.
LE PROBLEMATICHE
Le problematiche che si presentano oggi a chi vive queste case sono chiare. I dubbi sulla proprietà futura dei mezzi frena tutti, ad esempio, a effettuare lavori di restauro o migliorìa. E senza un’assicurazione, in caso di danni, chi pagherebbe? Passi che la casa non è di proprietà, ma tutti i contenuti sì. «Dopo quasi 40 anni - affermano i cittadini - siamo qua senza avere nulla in mano. In questi anni a più riprese sindaci, esponenti regionali e nazionali hanno considerato la questione ma senza venirne a capo. Ora chiediamo un incontro al ministro bellunese Federico D’Incà».
Ultimo aggiornamento: 22 Novembre, 18:10
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Era il 22 agosto 1983 quando, in pieno giorno, un furioso incendio scoppiò al centro del villaggio distruggendo numerose abitazioni. I residenti vennero sfollati per anni, in attesa della riedificazione che avvenne per mano dello Stato su proposta dell’allora senatore rocchesano Dino Riva. Furono così realizzate quindici unità immobiliari - assegnate poi nel 1990 - inserite in sette distinti edifici (4 stabili da 2 abitazioni ciascuno, 2 da 3 e 1 individuale) che hanno il peccato originale di non aver rispettato i confini delle proprietà precedentemente esistenti. A mancare, semplificando, furono gli espropri e il nuovo accatastamento. Di fatto, quindi, la pubblica amministrazione non è mai diventata proprietaria dei terreni su cui ha costruito e al contempo gli assegnatari dei locali non coincidono con i proprietari dei terreni. Una situazione assolutamente confusa nei confronti della quale, a distanza di 36 anni, gli abitanti chiedono una risoluzione definitiva.
LE PROBLEMATICHE
Le problematiche che si presentano oggi a chi vive queste case sono chiare. I dubbi sulla proprietà futura dei mezzi frena tutti, ad esempio, a effettuare lavori di restauro o migliorìa. E senza un’assicurazione, in caso di danni, chi pagherebbe? Passi che la casa non è di proprietà, ma tutti i contenuti sì. «Dopo quasi 40 anni - affermano i cittadini - siamo qua senza avere nulla in mano. In questi anni a più riprese sindaci, esponenti regionali e nazionali hanno considerato la questione ma senza venirne a capo. Ora chiediamo un incontro al ministro bellunese Federico D’Incà».