Salva moglie e figlio disabile prigionieri nello scantinato con l'acqua alta

Sabato 16 Novembre 2019 di Tomaso Borzomì
Pellestrina. Salva moglie e figlio disabile prigionieri nello scantinato con l'acqua alta
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VENEZIA - Due giorni e una notte senza dormire, arrivando a casa senza sapere se sia stato accompagnato o se ci sia arrivato da solo. Il racconto di Silvano Baseggio, responsabile della Protezione civile di Pellestrina è da brividi. Ha affrontato la marea più grande di sempre dal 1966, cercando di aiutare chi era in difficoltà e lasciando a casa da sola la sua famiglia per dedicarsi agli altri. Gli angeli di Pellestrina erano una settantina, da martedì a ieri non si sono risparmiati, guardando negli occhi chi aveva paura, gli anziani e la coppia di novelli sposi che aveva appena messo su casa, trovandosi improvvisamente senza niente. Per non parlare della famiglia con alcuni disabili: «C'è una famiglia che ha uno scantinato, la sera di martedì uno dei nostri ha fatto appena in tempo a tornare, portare suo figlio su, che è scoppiata la vetrata inondandola con due metri e mezzo di acqua. Fosse arrivato tre minuti più tardi avrebbe perso moglie e figlio». 
 
SETTANTA ANGELITra vigili del fuoco e volontari erano in circa una settantina a correre su e giù per l'isola in cerca di sostenere chi chiedeva aiuto e non capiva. Perché da capire c'era poco, mentre da agire tanto, visto che la marea è salita improvvisamente: «Sono montato in servizio con la seconda auto, il tempo di fare una curva e ho visto che l'acqua era dieci centimetri sopra la banchina. Di lì a pochi minuti è arrivata ovunque», racconta Baseggio. I volontari sono arrivati da tutta la provincia di Venezia: «Martellago, Spinea, Mestre». Ma non manca una punta di rammarico per quel sentirsi sempre soli, quasi ultimi, davanti alle difficoltà: «Sono dovuti arrivare con il percorso normale, non c'è stata una corsia preferenziale, un ferry. Forse non si è capita la gravità della cosa». Per il responsabile, che vive a Pellestrina da trent'anni, non è stato facile agire. «In una notte ho scaricato due telefoni e mi son trovato a poter usare solo una pompa». E non può nemmeno fornire una foto: «Il mio telefono è finito in acqua, l'ho perso durante il lavoro». Oltre a questo, Baseggio ha fatto la conta dei danni della sua famiglia: «Almeno 15mila euro, se recupero i mobili». Operare a Pellestrina non è facile, perché conosci gli amici e devi scegliere chi aiutare per primo, scontentando inevitabilmente qualcuno: «Sono stato a Genova, a Senigallia, ma qui è diverso. Poi noi siamo pretenziosi, quindi se facciamo felice il 90% c'è chi non sarà contento del nostro operato. Ma abbiamo fatto del nostro meglio. Ora mancano solo gli orti, abbiamo preferito dare la priorità alle abitazioni». 
IN PIEDI GIORNO E NOTTECome lui, la sua squadra è rimasta in piedi giorno e notte. «La gente ci chiamava per qualsiasi cosa, dopo martedì la paura è tanta per qualsiasi cosa, ma quando ci vedono in azione si tranquillizzano un po'». Il mezzo di soccorso della Protezione civile è però andato: «Dopo due giorni di su e giù, ha ceduto anche lui. Per fortuna ieri abbiamo solo fatto monitoraggio e una transennatura ad una zona a rischio». Per fortuna, perché il problema principale è che sono saltati i quadri elettrici e le stazioni di pompaggio sono fuori uso. La disperazione era palpabile: «Ho visto tante lacrime - racconta Baseggio - c'è chi ha perso davvero tutto, c'è una disperazione totale. E temo che saremo costretti a rimboccarci ancora una volta le maniche». È dubbioso sugli aiuti promessi dai politici: «Sono venuti qui, hanno promesso, ma finché non vedo non credo». Troppe le delusioni, come i tetti volati via negli anni scorsi a causa delle trombe d'aria a cui nessuno ha dato ascolto, lasciando la comunità isolana davvero sola. Dopo aver dato tutto se stesso, Baseggio ha anche il tempo per capire che forse in alcune occasioni avrebbe potuto essere più solare. Ma agli angeli di Pellestrina non si può chiedere anche questo: «Con la rabbia e la stanchezza puoi esser fastidioso, il non dormire può portare allo stremo, perché abbiamo lavorato ininterrottamente con gli stivali alla coscia sempre addosso, andando da una parte all'altra. Credo però che più di così non potessimo davvero fare».
Tomaso Borzomì

Ultimo aggiornamento: 17 Novembre, 09:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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