Sterilizzata dopo l'ultima figlia, restadi nuovo incinta e fa causa all'Ulss

Martedì 12 Novembre 2019 di Angela Pederiva
Sterilizzata dopo l'ultima figlia, restadi nuovo incinta e fa causa all'Ulss
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MOTTA DI LIVENZA (TREVISO) - Aveva solo 24 anni e già tre figlie: per questo, proprio in occasione dell'ultimo parto, chiese di farsi sterilizzare. Malgrado l'intervento effettuato all'ospedale di Motta di Livenza, però, un anno e mezzo dopo la giovane diede comunque alla luce un altro bambino, motivo per cui decise di chiedere i danni all'allora Ulss 9, che a sua volta chiamò in causa la compagnia assicurativa Ras. Ad oltre vent'anni di distanza da quella gravidanza indesiderata, la vicenda giudiziaria si è chiusa nei giorni scorsi: allineandosi all'orientamento già espresso dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Venezia, la Cassazione ha respinto il ricorso della mamma, stabilendo in via definitiva che il quarto concepimento non fu un caso di malasanità, bensì una «eventualità fisiologica, anche se non frequente, in questo tipo di operazioni».
 
LA TECNICA
Tecnicamente si trattò di un intervento di sterilizzazione volontaria, praticato mediante la tecnica di dermotermocoagulazione del lume tubarico, durante il cesareo della terza figlia, avvenuto nel marzo del 1997. Ma nel settembre del 1998, al termine di una gestazione del tutto inaspettata, la donna mise al mondo un maschietto: sano, e molto amato, ma secondo la madre e i suoi legali, conseguenza di uno sbaglio medico. Nel 2007 venne avviato il procedimento civile, che tuttavia sia in primo che in secondo grado si risolse con il rigetto della domanda di risarcimento. Infatti nel 2012 il Tribunale ritenne che la quarta gravidanza «non fu frutto di un errore della esecuzione dell'intervento, ma fu consentita da una ricanalizzazione della tuba, rischio inevitabile e sempre connesso alla suddetta tecnica di sterilizzazione, del quale la paziente era stata compiutamente informata». E nel 2012 la Corte d'Appello ribadì che «la ricanalizzazione della tuba non fu frutto di una erronea esecuzione dell'intervento» e che «la paziente era stata correttamente informata di tale eventualità».

L'IMPUGNAZIONE
A quel punto scattò l'impugnazione della sentenza, sulla base di diverse doglianze, tutte però bocciate dalla Cassazione. Per esempio la donna sosteneva che l'azienda sanitaria, diventata nel frattempo Ulss 2 Marca Trevigiana (così come negli anni l'assicurazione è confluita in Allianz), non avesse dato prova di aver eseguito correttamente l'operazione e che i giudici di secondo grado non avessero indagato sulla vera causa del fallimento chirurgico. Ma per gli ermellini la motivazione «è limpidissima: la domanda è infondata perché l'intervento fu eseguito correttamente, e l'insuccesso di esso fu dovuto ad una naturale ricanalizzazione della tuba, evento sempre possibile». In particolare gli avvocati della mamma, oggi 47enne e con figli ventenni, ipotizzavano un'imperizia dei sanitari nell'esecuzione dell'elettrocoagulazione, magari per l'uso di strumenti difettosi, ma per i magistrati questa «non è una circostanza materiale», bensì «una mera argomentazione difensiva». Ancora: alla lamentela su una presunta incompletezza della cartella clinica, la Suprema Corte ha risposto affermando ancora una volta la «insussistenza del nesso di causa tra le modalità operatorie addotte dai sanitari, e l'insuccesso dell'intervento».
Angela Pederiva
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