Il tunnel dei nordestini sotto il muro di Berlino: la fuga ideata da due giovani goriziani

Sabato 9 Novembre 2019 di Angela Pederiva
Il tunnel dei nordestini sotto il muro di Berlino: la fuga ideata da due giovani goriziani
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Tre decenni fa, oggi, cadeva il Muro di Berlino. Ma prima dei colpi di piccone del 9 novembre 1989, furono gli affondi della pala del 14 settembre 1962 a cominciare a sgretolare le certezze del regime: un anno, un mese e un giorno dopo la costruzione della barriera-simbolo della Guerra Fredda, eretta il 13 agosto 1961, ventinove tedeschi dell’Est riuscirono a scappare a Ovest attraverso una galleria, scavata sotto la terra e malgrado la paura. Era il “Tunnel 29” ed è una storia del Nordest: l’avventura che è annoverata fra le più clamorose (e fortunate) fughe per la libertà, infatti, fu ideata da due studenti di Gorizia, che nel frattempo sono morti ma in queste ore sono comunque i protagonisti dell’inchiesta-audiodrama della Bbc che sta in vetta alla classifica britannica dei podcast.
IL RACCONTO Potere delle parole e dei rumori, la rivincita del racconto al tempo dei tweet. «Una vicenda su cui ho lavorato per un anno – annota via Instagram l’autrice Helena Merriman – e che coinvolge un tunnel, spie tedesche, una rete televisiva americana e il più coraggioso gruppo di persone che io abbia mai incontrato». A guidarlo furono Luigi Spina e Domenico Sesta. “Gigi” era nato nel 1936 a Gorizia, dov’era cresciuto nella centralissima via Rastello in cui i genitori avevano un negozio di mercerie e aveva frequentato il liceo classico Dante Alighieri, prima di svolgere il servizio militare nella Julia e congedarsi da tenente degli Alpini. “Mimmo”, classe 1937, era invece originario di Vieste, ma da orfano di padre e di guerra era finito dapprima a Chioggia per il lavoro della madre e successivamente a Gorizia per l’ultimo anno delle superiori. Proprio a scuola era così avvenuto l’incontro fra i due ragazzi, che dopo il diploma avevano deciso di frequentare l’Università a Berlino, per diventare l’uno grafico e l’altro ingegnere. In realtà fra il 1961 e il 1962 i due studenti persero il semestre, come rivela Ellen Schau Sesta nel prologo del libro Il tunnel della libertà (Garzanti). Il volume, da cui è stata tratta anche l’omonima miniserie televisiva diretta da Enzo Monteleone, raccoglie le memorie del marito Mimmo e dell’amico Gigi, oltre che le proprie, visto che la donna fu la staffetta dell’epica operazione. Il 10 settembre la ragazza era andata a trovare l’allora fidanzato, con il proposito di festeggiare insieme il proprio compleanno quattro giorni più tardi, ma anche con l’intenzione di chiedergli perché mai fosse stato così impegnato ed evasivo nei mesi precedenti. Ecco la trascrizione del loro dialogo, quella sera in cui lui la portò a cena in un ristorante cinese: «“Ti ricordi Peter? Siamo andati a trovarlo tutti insieme, con Gigi, più di un anno fa, l’ultima volta che sei stata qui a Berlino...”. “Sì... e allora?”. Fu così che appresi finalmente tutto quel che era successo a Mimmo e a Gigi durante quell’ultimo anno, e perché ora avevano bisogno di me». Peter di cognome faceva Schmidt ed era un altro studente, sposato con Evelyne e papà di Annette. Dopo l’edificazione del Muro, i tre erano rimasti bloccati nel settore orientale, dove dopo la metà di agosto Spina e Sesta andavano a fargli visita, contando sul fatto con i loro passaporti italiani potevano tranquillamente entrare e uscire dal varco controllato della Friedrichstrasse. Inizialmente il giovane era convinto che la barriera sarebbe stata una misura temporanea, ma con il passare del tempo dovette arrendersi all’evidenza. «Sono venuti l’autunno e l’inverno del 1961 – scrive ancora Ellen, citando la testimonianza di Mimmo – e lo stato d’animo del nostro amico Peter è visibilmente peggiorato, perché ormai aveva capito di aver ceduto a un’illusione. Non c’era da sperare in facilitazioni per gli studenti o in una revoca dei provvedimenti di chiusura della frontiera. Quando siamo tornati a trovarlo ancora una volta, nel febbraio del 1962, ci ha confessato che non ce la faceva più a resistere nella Ddr». Fu così che, per dare una mano a quella famiglia, i due “giuliani” scavarono un tunnel lungo 123 metri e aiutarono anche altri ventisei fuggiaschi.
IL PIANO Non furono certo soli: una trentina i Fluchthelfer (gli aiutanti della fuga) coinvolti, fra crolli della galleria con annessi allagamenti e timori di infiltrazioni della Stasi, la necessità di cambiare progetto e il bisogno di cercare finanziamenti.
A questo proposito, tutta nordestina fu l’intuizione di vendere l’esclusiva delle immagini riguardanti gli scavi, prevalentemente notturni, al canale americano Nbc, che le usò per realizzare un innovativo e premiato documentario che ai giorni nostri chiameremmo reality. Se il piano fosse saltato, magari con qualche arresto o con qualche pallottola come spesso capitava in quegli anni di speranza e repressione, c’era una “ipotesi B” anche per Ellen, incaricata di accompagnare i vari fuggitivi all’imbocco del condotto che passava sotto la Bernauer Strasse: andarsene in Polonia. «A Varsavia, se mai ci fossi arrivata, mi sarei dovuta presentare all’ambasciata tedesca occidentale – si legge nel suo memoriale – e attendere ulteriori istruzioni. La via migliore per tornare in Occidente sarebbe comunque stata quella attraverso i paesi dell’Est europeo fino alla Jugoslavia, per dirigermi da lì in Italia passando dal valico di Gorizia. In quest’ultima città Mimmo e Gigi avevano frequentato insieme il liceo, e vi avrei trovato i loro amici che mi avrebbero aiutata a proseguire». Ma non ce ne fu bisogno, filò tutto liscio. L’ultimo ad uscire fu un neonato, la cui foto in bianco e nero è entrata nell’epopea. Quel bimbo si chiamava Uwe Stürmer e oggi, che è un 57enne dirigente di Polizia a Ravensburg, al Gazzettino confida: «Non ho ricordi del Muro di Berlino all’epoca. Avevo 4 mesi quando fui portato attraverso il Tunnel 29. Ma naturalmente i miei genitori hanno tutti i ritagli di giornale...». 





 
Ultimo aggiornamento: 10 Novembre, 11:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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