Telecamere contro i dipendenti ladri: imprenditore stangato dal tribunale

Mercoledì 6 Novembre 2019 di Denis Barea
Telecamere contro i dipendenti ladri: imprenditore stangato dal tribunale
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SALGAREDA (TREVISO) - Qualcuno ruba l'argilla depurata che serve per produrre mattoni, pignatte, tegole e coppi. Più che una certezza una ossessione, alimentata da vecchi casi accaduti in provincia di Treviso in cui dipendenti del settore edile e della ghiaia erano stati scoperti a fregarsi prodotti finiti e materiali utilizzati nelle lavorazioni industriali per poi rivenderli di nascosto. Preoccupazioni più o meno fondate che sono costate caro a D.B., 50enne titolare di una nota impresa di produzione di laterizi di Salgareda, condannato ieri ad una ammenda di mille euro per violazione dello Statuto dei Lavoratori. L'uomo infatti, per essere sicuro che nessuno dei suoi operai facesse la cresta sul patrimonio della fabbrica, ha deciso di installare delle telecamere di videosorveglianza ma lo ha fatto all'insaputa dei dipendenti, che invece avrebbero dovuto essere informati. In un colpo solo l'imprenditore ha  fatto carta straccia della norma che regola i diritti dei lavoratori subordinati e di tutte quelle concernenti la privacy, passando inevitabilmente dalla parte del torto.
I FATTI
I fatti risalgono al luglio del 2016, quando cioè a svelare che occhi indiscreti e non autorizzati spiavano gli operai impegnati ai forni era stata una verifica da parte dell'Ispettorato del Lavoro. Una visita capitata non a caso ma, a quanto si è appreso, indirizzata da una segnalazione. Gli ispettori sanno infatti dove cercare e scovano subito 6 telecamere a circuito chiuso che filmano ogni istante della vita della fabbrica. Le immagini, appureranno le verifiche tecniche, finiscono in alcuni monitor che si trovano in un ufficio della zona produzione e in quelli installati nell'ufficio del titolare dell'impresa. Di furti in realtà neanche l'ombra e l'unico a finire nei guai con la giustizia è stato il 50enne. L'Ispettorato del Lavoro infatti ha verificato che il funzionamento del sistema di videosorveglianza non era stato comunicato al personale, contestando la violazione. «Quelle telecamere - spiegherà tentando di difendersi l'imprenditore - non sono state installate su mia disposizione ma è stata una decisione presa da mio figlio, che è socio dell'azienda».
L'ACCUSA
«Sapeva quello che stava succedendo - ha invece argomentato il pubblico ministero - perché lo poteva vedere dal monitor che aveva installato nel suo ufficio. E quando è stato contatto telefonicamente perché si recasse nella zona produttiva non si è fatto trovare e ha evitato di rispondere». Prima del procedimento penale a dire il vero l'Ispettorato del Lavoro aveva disposto che venissero spente le telecamere dando sei mesi di tempo per smontare l'impianto di videosorveglianza. Ma nel gennaio del 2017, durante un secondo sopralluogo, si scopre che non solo le videocamere erano ancora funzionanti ma che avevano continuato a registrare ogni istante della produzione esattamente come prima. E così è scattata la denuncia, che ha portato qualche mese dopo all'emanazione di un decreto penale di condanna: 600 euro di ammenda da pagare. Ma il titolare ha deciso di affidarsi ad un legale e fare opposizione. Ed è così che si è finiti davanti al giudice del Tribunale di Treviso. A nulla sono valse le tesi difensive, tanto che è arrivata una condanna addirittura più pesante rispetto a quanto disposto nel decreto penale di condanna, perché la multa passa da 600 a mille euro. Evidentemente per il giudice, che depositerà le motivazioni entro 60 giorni, la preoccupazione dell'imprenditore roso dal sospetto che qualcuno degli operai trafugasse materiale non vale la violazione di leggi che dovrebbero garantire i diritti fondamentali sul posto di lavoro. Il 50enne, assistito dall'avvocato Daniel Pardise, non vuole rassegnarsi. Annunciando da subito di voler fare appello contro la sentenza di primo grado.
Denis Barea
Ultimo aggiornamento: 11:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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