Federico Buffa, principe dello storytelling, incanta anche a teatro

Sabato 2 Novembre 2019 di Maurizio Ferin
Federico Buffa, principe dello storytelling, incanta anche a teatro
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Parlare con Federico Buffa è come aprire le finestre al mattino presto. Rinfresca le idee e cambia aria all'ambiente. Perché l'avvocato e principe dello storytelling trasmette la sensazione di essere una persona con cui si può affrontare qualsiasi argomento. Probabilmente è il motivo per cui «il pubblico che ci segue a teatro (e dico ci, non mi, perché non sono da solo) è fatto di uomini e donne che normalmente a teatro non vengono», come spiega lo stesso Federico. Per ascoltare Buffa, giovedì prossimo si riempirà il Comunale di Belluno: la tournée di Il rigore che non c'era fa infatti tappa nel capoluogo.
Più che di sport, lo spettacolo si occupa di destino, delle cosidette sliding doors: quella di Federico Buffa fu lo speciale dedicato ad Arpad Weisz nel 2012? Da allora ha preso una strada che sta ancora seguendo.
«Io non l'ho mai visto, come quasi tutto quello che faccio - è la rivelazione sorprendente del 60enne milanese - ma è verissimo che fu così per me. Fu tutto molto improvvisato, registrato in una sola giornata».
Di chi fu l'idea di raccontare la storia dell'allenatore ebreo ungherese di Inter e Bologna (le squadre con cui vinse lo scudetto negli anni Trenta), ucciso insieme a moglie e figli nei campi di sterminio nazisti?
«Io facevo le telecronache di basket, quasi per caso mi occupai di Maradona. Le prime reazioni nella redazione di Sky furono negative, dicevano perché uno della pallacanestro si occupa di calcio?. Io stesso dissi di no quando mi chiesero di continuare. Poi una bravissima giornalista, Veronica Baldaccini, propose di pensare a qualcosa per la giornata della memoria. E Federico Ferri (attuale direttore di Sky Sport, ndr) ne parlò con me. Io avevo letto il libro di Matteo Marani, secondo me il miglior giornalista d'inchiesta sportiva in Italia, dedicato proprio a Weisz. Fu emozionante e faticoso, una storia lunghissima da condensare in 50 minuti come fosse un monologo, con una sceneggiatura teatrale».

E poi arrivò l'articolo di Aldo Grasso, che definì lo speciale di Weisz il più bel programma culturale e Buffa un narratore straordinario.
«Non ero in Italia quando uscì. Ero negli Stati Uniti, mi svegliai e trovai decine di messaggi. A me faceva piacere, però pensai per me finisce qua. Volevo fare le Olimpiadi, commentare il basket...».

Invece...
«Invece sempre Ferri mi mandò ai Mondiali di calcio, raccontavo anche alla radio svizzera le mie Storie mondiali. Una coppia di registi mi proposero di portarle in teatro. Era il mio sogno. Dovevano essere poche repliche, alla fine furono 126».

Quanto spazio occupa la televisione e Sky e quanto il teatro nella vita di Federico Buffa?
«Dieci il teatro, uno Sky. Certo, guadagnerei molto di più a lavorare di più a Sky, ma ho il privilegio di non avere una famiglia. Posso rischiare».

Giovedì "Il rigore che non c'era" arriva a Belluno: un luogo già frequentato?
«La città no, la provincia moltissimo. A parte Cortina dove sono stato una decina di volte, sono andato spessissimo nei luoghi sopra e intorno a Belluno. Si mangia benissimo».

Quindi sono luoghi quasi famigliari.
«Uno dei miei migliori amici è bellunese. Fa l'imprenditore a Milano, si chiama Luigi De Moliner. Siamo amici da quando avevamo 20 anni, con lui sono stato spesso in provincia di Belluno».

Dovendo pensare a storie bellunesi di sport che Buffa potrebbe raccontare, vengono in mente un campione e un'impresa: Dino Meneghin e la staffetta di Lillehammer.
«Dino non ha mai smesso di essere veneto, altro che varesino. Chi ha visto dal vivo l'impresa della 4x10, mi dice che non se la potrà mai dimenticare».
 
Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 19:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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