«Berlusconi ritira il simbolo». Panico in Forza Italia: allora liberi tutti

Sabato 2 Novembre 2019 di Mario Ajello
«Berlusconi ritira il simbolo». Panico in Forza Italia: allora liberi tutti
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In Senato la voce gira assai, terrorizzando tutti gli azzurri. E la voce è questa: «Berlusconi ha deciso di non presentare il simbolo del nostro partito alle prossime elezioni». Dunque, sarà la casa di Salvini, se il padrone di casa vorrà, a imbarcare qualche azzurro nel suo partitone, concedendo il diritto di tribuna a 20 deputati e 10 senatori di provenienza azzurra. Pochi si fanno illusione che non andrà così, e allora - «Siamo un partito in disfacimento», è l'opinione generale - ognuno si stra attrezzando come può. E liberi tutti. In una divisione che per ora sembra fatta per quattro. Ma Berlusconi precisa: «Assurdo che io voglia ritirare il simbolo».

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I carfagnei sono quelli che aspettano con ansia il ritorno di Mara dal Giappone, dove è andata per qualche giorno, e da lontano si chiedono e le chiedono: «Che cosa vuoi fare? Che cosa dobbiamo fare? Con Renzi sì o no?». Mara a sua volta chiede a se stressa e interroga gli altri: «Tu che cosa dici?». Una cosa è certa: con Berlusconi (specie dopo la querelle sulla commissione Segre in cui anche figure come Osvaldo Napoli si sono distinte: «Il Ppe avrebbe votato la mozione Segre»), i ponti non sono ricostruibili ma allo stesso tempo la Carfagna al Cavaliere deve molto e non vuole tradirlo. Però può trattare con Renzi («Non lo faccio», dice lei) e con Toti e tra i suoi (che sono tanti: una cinquantina almeno) c'è chi assicura: «Tramite Toti, non è escluso che alla fine Mara potrà trattare, da posizione di totale autonomia, con Salvini: io sono io, tu sei tu».

Altra scheggia del big bang in arrivo è quella dei berluscones di strettissima osservanza, la Gelmini e gli altri. Secondo questo ragionamento: Salvini salva 30 di noi, se va bene, meglio essere tramite Berlusconi tra questi salvati piuttosto che tra i tanti sommersi. Dalle parti dei meno filo-salvinisti questi li chiamano gli «ascari di Matteo». Ossia quelli che si mettono nelle mani del futuro capo della Coalizione della libertà, questo il nome del partitone, ma il problema è che Salvini ha collegi da dare al Sud e non al Nord. Perciò, altra scheggia tra le schegge, si va formando in Senato il gruppo dei sudisti di provenienza azzurra.

Hanno capito che Salvini dà le carte, non si sentono i favoriti di Silvio nel traghettamento nelle liste del Carroccio e allora con il capo leghista vogliono trattare in proprio. Il Senato è il luogo di questa manovra, la guida Fazzone (potente macchina di voti nel sud laziale e con ramificati rapporti parlamentari, il senatore Giro è un suo amico storico per esempio) e sono coinvolti i campani come Cesaro, De Siano, Carbone e non solo loro. Sono tutti berlusconiani ma vedono in Salvini l'unica speranza e in Forza Italia un partito ridotto al 5 per cento. Dunque il Capitano ha bisogno di rafforzarsi nel Mezzogiorno e dal Mezzogiorno ex forzista la disponibilità di dargli una mano c'è: ma accordandosi faccia a faccia, e poi si vedrà in che forma.

I DETRITI
E ancora. Una quarto detrito dell'esplosione forzista. Quello di centro. Area Cesa. Con il senatore Antonio Saccone, ma anche la Binetti e l'ex casiniano De Poli in grande attivismo. Il simbolo da tenersi è quello dell'Udc. L'obiettivo è quello di trattare con il miglior offerente. Ovvero: se il governo Conte andasse in difficoltà, da qui arriverebbero i responsabili per soccorrerlo. Ma non è detto che - nonostante Gianfranco Rotondi si dica contrario - sia esclusa la contrattazione con Salvini, per il solito motivo che al Sud Salvini è scoperto.
Si tratta insomma - mentre qualche altro azzurro in solitaria potrebbe passare a Italia Viva - soltanto di aspettare un po' di tempo per vedere l'effetto che fa.

Ma la liquefazione azzurra è ampiamente cominciata.

Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 15:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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