Roberta di Camerino, signora della moda e maestra di Versace e Ferrè

Lunedì 21 Ottobre 2019 di Alberto Toso Fei
Illustrazione di Matteo Bergamelli
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Fu una delle prime e maggiori esponenti del “made in Italy” nel campo della moda prima ancora che questa espressione acquistasse un senso. Gianni Versace e Gianfranco Ferrè diventarono stilisti dopo aver lavorato con lei; anche le sorelle Fendi inventarono il loro marchio dopo aver gestito uno dei suoi negozi, conosciuti in tutto il mondo grazie a quella “R” declinata in più maniere che stava per “Roberta”. Roberta di Camerino. Lei in realtà, stilista della prima ora, imprenditrice di successo e rivoluzionaria nel campo della moda, non si chiamava Roberta. Aveva dato alla sua azienda – che negli anni Ottanta arrivò a contare 250 punti vendita in 35 Paesi – il nome della sua bambola preferita di quand'era bambina, che avrebbe poi dato anche alla figlia.

Il suo era Giuliana Coen Camerino; era nata a Venezia l'8 dicembre 1920. Nascere ebrea in Italia negli anni Venti non fu un grande affare: vittima delle leggi razziali ed espulsa dal liceo, non si diede per vinto e diede la maturità da privatista, subito prima di sposare, giovanissima, Guido Camerino. Volitiva e libera, ebbe ragione: fu un vero matrimonio d'amore che in breve tempo vide nascere Ugo, il primogenito. Ma la guerra incalzava e alla fine del 1943 fu caccia all'uomo. Nascosti e poi ricoverati a Mogliano grazie ad Anacleto Ligabue, padre dell'esploratore Giancarlo, scapparono dalla clinica vestiti da suore con la complicità del primario Emo Prosdocimo e poi delle autorità di polizia veneziane, che chiusero tutti e due gli occhi mentre i tedeschi rastrellavano le case. Duecentoquarantotto ebrei veneziani partirono verso i campi di concentramento. Solo otto di loro ritornarono. I Camerino ce la fecero.

Fuggiti rocambolescamente in Svizzera trovarono ospitalità a Lugano.
Fu lì che, dopo aver venduto per necessità una borsa a secchiello di cuoio, Giuliana Coen decise di rifarsene una e poi realizzarne altre, scoprendosi così un talento inaspettato. Il 26 aprile 1945 ripassarono il confine in gran segreto, senza nemmeno attendere che tutto il Nord Italia fosse liberato. Tornarono a Venezia dove la loro casa era stata saccheggiata. Ma erano vivi, e poterono ricominciare. Giuliana iniziò a creare: inventò delle borse che si “vestivano” e “svestivano” per un utilizzo diurno e serale, finalmente slegate dall'idea di abbinamento con le scarpe; oggetti colorati e particolari da esibire per quello che erano: creazioni di moda. Fu un successo. Inizialmente le vendette a un negozio del centro, per poi aprire il suo primo negozio. Il tocco della “R” fu irresistibile: la borsa “bagonghi” (dal nome del celebre clown) composta di velluti di diversi colori, diventò un must per attrici, principesse, giornaliste di moda. Il velluto in luogo della pelletteria fu una sua intuizione: arrivò a farsi fabbricare i tessuti con fibbie, cinghie e passanti che facevano parte dell'ordito e della trama. Erano finti, ma si vedevano. Il “trompe l'oeil” applicato alla moda, un'altra rivoluzione, consacrata dall'oscar della moda (il Neiman Marcus Award) assegnatole nel 1956. “Roberta di Camerino” iniziò a produrre vestiti e accessori, presentati di anno in anno in sfilate che il giorno del Redentore diventavano veri spettacoli: col corpo di ballo della Fenice, col teatro delle marionette, gli sbandieratori di Asti, l'intero circo Orfei... Giuliana Coen inventò anche le sfilate-spettacolo. In tutto ciò era nel frattempo nata anche la figlia Roberta, e ogni cosa conobbe una continua ascesa fino al 1965 quando Guido, che aveva lasciato il lavoro in banca per seguirla in azienda ma che soprattutto aveva condiviso con lei ogni cosa – gioia, sofferenza, paura, gloria – morì. Per Giuliana fu un colpo durissimo; lasciò Venezia e si trasferì a Milano, e poi nel Principato di Monaco e a Lugano, in quella Svizzera dove anni prima aveva trovato la salvezza. Giuliana Coen Camerino morì a quasi novant'anni l'11 maggio 2010, dopo essere stata colpita da un malore mentre si trovava in Istria sulla sua barca “Giada”, sull'Adriatico che amava e che aveva percorso in lungo e in largo. Oggi riposa al cimitero ebraico del Lido di Venezia.
Ultimo aggiornamento: 22 Ottobre, 09:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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