Vi sono tanti modi per raccontare uno stilista: come nasce, dove ha studiato, perchè “lui e la moda”, quando gli è arrivato - e se gli è arrivato - il successo, cosa si aspetta da lui il mondo della moda oggi, e cosa si aspetta lui dalla moda-non-moda che incalza ovunque. Tutte risposte che i vari curriculum che abbondano nei profili degli stilisti in genere possono dare abbondantemente. Ma esiste una dimensione che corre solo tra chi fa mestiere di critica (non dico di cronaca!) della moda e lo stilista - persona, Che non sempre esiste: vuoi perché il critico o la critica non l’hanno saputa decifrare, o perché lo stilista, sia pure bravissimo, non possiede. Parlo di modi, attimi che corrono come lampi, parole apparentemente buttate là, un gesto, un modo di toccare il tessuto, un’occhiata a come sei tu , da parte della persona avvezza a considerare ciò che si vede e si tocca e lo sguardo di sghimbescio , oltre il quaderno di appunti , da parte dell’intervistatrice-osservatrice del modo di proporsi dello stilista “in oggetto”.
Nella mia carriera ormai lunga, annosa, ho conosciuto tanti, tantissimi stilisti, alcuni bravi, molto bravi, bravissimi, pochi, pochissimi che abbiano segnato la pagina privata, quella che io chiamo così perché riservata a rari incontri destinati a scrivere quelle righe che restano. Oggi esiste un Michele (di cognome) di cui si parla molto : lo stlista para-trasgressivo di “Gucci”. Io parlo invece dell’altro Michele, del suo opposto, Michele Miglionico . Lo incontrai - vari anni fa - per vie “ ufficiali”, una sfilata nel quadro di una rassegna che si teneva per l’ alta moda (parola “ vietata” oggi in Italia - e in italiano - ma sempre più accarezzata e seguita in Francia - e in francese : haute couture) . Diciamo che erano gli anni in cui resisteva ancora da noi un baluardo riservato alla creatività pura, alla moda che potrei definire “alta” senza etichette, così, per qualità, senza etichette di “trasgressione obbligata”.
Era allora uno dei “giovani”, quasi una new entry (nonostante avesse già presentato sue collezioni in forma privata, con seguito di un certo interesse manifestato allora per quelle vie dirette (come le sfilate negli ateliers dal sapore tra l’internazionale e il casalingo) che sanno dire la verità. Prima di visionare la sua collezione volli conoscerlo: bastava guardarlo tra i suoi vestiti peraltro superbi nella fattura e nell’invenzione, il giovane del Sud che proprio in questa dimensione svolgeva il suo percorso.
In occasione della micro - mostra allestita recentemente a Venezia, nel Museo della Moda e del Costume di Palazzo Mocenigo, ho ritrovato in Miglionico quella irrequietezza affascinante, il suo soffermarsi sulla suggestione di un tessuto, un taglio, una cucitura , tenendo sotto controllo con uno sguardo felino la situazione che precede l’arrivo del pubblico per una sfilata o una Mostra still.life, guatando la tua mano che scrive sul quadernino di appunti ciò che lui dice o ciò che tu vuoi sentirgli dire, ma sempre agganciato a un vestito, a una sua opera pronta per il giudizio. Una fierezza che si trasmette quasi in modo sovrumano agli oggetti che ti presenta, più attento ai medesimi che all’interlocutore, fosse anche il giornalista più famoso del mondo. Miglionico - come accadeva a Gianfranco Ferrè - si innamora dei segni: un nodo, un brillante applicato , solo e suntuoso, sulla punta di un colletto severo, un fiocco colorato, una piega che gioca ad aprirsi e chiudersi quasi per caso. O di un colore (il suo rosso resta il suo outing più clamoroso) : la sua verità. Solo in un altro “animale umano” del Sud, Gianni Versace allora alle prime armi già ben affilate, avevo riscontrato questa passione “visibile” che sprizza dallo sguardo , dalle mani nervose che “raccontano”, dai pori della pelle, come un ininterrotto grido di guerra, una sfida.
Per Michele Miglionico devo ricorrere a stilemi territoriali anche se in lui si è raffinata una esigenza di internazionalità del gusto, uno “stile” che sa affrontare la moda del nostro tempo senza mai perdere di vista però la forza dell’origine. Se dovessi riassumere oggi cosa rappresenta questo stilista nel panorama mondiale della nostra moda, direi che è il “Sud” internazionalizzato, la forza del sole, l’imput di un credo che gli ha fatto interpretare come nessuno “abiti che parlano d’incenso” ispirati ai costumi delle Madonne lucane (la sua terra), giochi di sartoria altissima imparata da lontano, da un padre specializzato nell’alta sartoria, da una vita trascorsa tra crepe , sete, cachemire e chiffon. Stilista di grande forza creativa, personaggio pugnace, fermo nel suo ideale di bellezza che muta con il tempo ma che resta forte e viva, Michele Miglionico sa volare alto e solo: come le aquile .
Ultimo aggiornamento: 11:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA
MODI E MODA di
Luciana Boccardi