Trieste, il fratello del killer barricato in casa: «Ho paura, la mia vità è sconvolta»

Lunedì 7 Ottobre 2019 di M.A.
Trieste, il fratello del killer barricato in casa: «Ho paura, la mia vità è sconvolta»
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TRIESTE - È spaventato. Ha il timore che il gesto folle compiuto dal fratello, identificato ormai come il killer dei due poliziotti, possa cambiare la sua vita ancora più di quanto l'abbia già fatto, visti gli attimi di terrore passati in questura nel tentativo di nascondersi ed evitare i proiettili che fischiavano nell'atrio principale del palazzo. Carlysle Stephan Meran è rifugiato nel suo appartamento nel quartiere di Melara, in un complesso residenziale famoso in città come il quadrilatero. Un blocco di cemento su quattro lati, aperto al centro in una corte interna tipica della periferia.

Una zona difficile, dove Carlysle vive con la compagna e dove da ieri mattina si è letteralmente barricato per sfuggire ai microfoni. Contattato telefonicamente, ha però confidato di avere paura. Un timore diverso da quello vissuto in questura, quando il rischio di perdere la vita era concreto e immediato. «Ho paura di essere aggredito - confida - temo ritorsioni nei miei confronti e non mi fido ad uscire di casa, ho il terrore che possano farmi del male».

IL SILENZIO
Carlysle, il fratello maggiore dell'omicida, non è mai stato sottoposto a indagini. Non ci sono provvedimenti che lo riguardano, ed anzi il questore di Trieste, Giuseppe Petronzi, si è complimentato con lui per aver collaborato fattivamente allo svolgimento delle primissime fasi delle indagini. Ma ora Carlysle ha paura di rimetterci lui per qualcosa che non ha compiuto con le sue mani. Chiede che i riflettori si possano spegnere in fretta, e che microfoni e taccuini si allontanino da lui e dalla sua compagna, cittadina dominicana anche lei ma perfettamente integrata nel tessuto sociale triestino. «Andate via, non disturbatemi più, ho paura», ripete stizzito. Anche lui, come i poliziotti che sono riusciti ad evitare i proiettili di Alejandro, può considerarsi un miracolato. Ma il legame familiare con l'autore del duplice omicidio pesa sul suo stato mentale del momento. Dopo 48 ore, la voglia e il bisogno di parlare e di sfogarsi si è esaurita.

IL DOLORE
Le ultime parole di Carlysle, prima di tornare nel silenzio che ora chiede di rispettare, sono un altro doloroso salto nel passato recente, alle 16.55 di venerdì, quando è arrivato in questura con il fratello Alejandro per gli accertamenti correlati al furto di un motorino in via Carducci. «Cosa potevo fare se non nascondermi? - ha detto - Temevo di morire e che qualche proiettile mi colpisse. Mi sono protetto come potevo, i colpi arrivavano da tutte le parti». Nell'ufficio delle volanti, nella pancia della questura triestina, nessuno in quel momento poteva considerarsi al sicuro.

«Mio fratello ha problemi psichici», ha continuato a ripetere il maggiore dei due Meran, sostenendo che soprattutto nelle ore precedenti la sparatoria il comportamento di Alejandro fosse particolarmente strano. Era agitato, Carlysle e la madre Betania avevano provato prima a calmarlo, poi si erano rivolti all'ospedale Maggiore, in pieno centro. Il passaggio effettuato dalla madre Betania nella struttura sanitaria è stato confermato dai vertici dell'ospedale. Ma nessuno poteva aiutare un paziente che in quel momento non era presente.

Il resto è già noto alla cronaca: «Continuo a ricordare che mio fratello in questura veniva in cerca di me, in quel momento era disperato, fuori di sé», racconta ancora Carlysle. Infine ripete l'appello già lanciato sabato dalla madre Betania. È rivolto alle famiglie delle vittime. «Chiediamo ancora perdono», conclude.

Ieri mattina la madre Betania si è recata in questura per avere informazioni sulla salute del figlio, ancora ricoverato all'ospedale di Cattinara. Ha avviato le procedure per potergli fare visita prima che sia tradotto in carcere una volta terminata l'emergenza medica.
Ultimo aggiornamento: 13:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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